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La ricetta inglese per opporsi alla crisi economica

di Marco Sarracino

Quando scoppiò la crisi nel 2008, tutti gli esperti erano dell’avviso che il paese europeo che avrebbe subito i maggiori danni sarebbe stato il Regno Unito. Oggi, invece, con un certo stupore ci troviamo davanti ad una serie di dati totalmente diversi. L’economia inglese nell’epoca moderna si è sempre retta e contraddistinta per l’innumerevole quantità di servizi erogati, pubblici e privati, a differenza di quei paesi centro europei che basano la propria ricchezza sulla produzione di beni materiali (Italia, Germania, Francia. Proprio per questa caratteristica fu definita “l’economia basata sul nulla”, e quindi più vulnerabile in caso di crisi finanziaria.
Un paese autonomo economicamente è sicuramente un paese forte, ed è questo il primo obiettivo del governo Cameron (da poco eletto primo ministro): ridurre il debito nazionale per far sì che in futuro non si debba ricorrere ad indebitamenti inutili che non possano permettere investimenti importanti, ad esempio sulle infrastrutture. L’Italia, invece, compie una politica totalmente opposta: il nostro debito pubblico non è mai stato così alto, così come l’immobilismo economico e politico.
La patria del liberismo economico, però non si ferma qua, anzi, si batte affinché diventi il paese in cui sarà più facile avviare un attività e avere accesso al credito. Come? E’ nei piani governativi abbassare le imposte sulle aziende, tanto da portarle ad essere le più basse nel G-7, ridurre le aliquote sui piccoli redditi, tagliare i contributi pensionistici a carico dei datori di lavoro. Le conseguenze sono ovvie: più è facile accedere al credito (premiando le idee creative e innovative e non solo chi ha già una sicurezza economica alle spalle) più nascono attività economiche, più si creano posti di lavoro, maggiore è l’aumento del PIL.
Ma dove prendere i soldi? La ricetta prevede un taglio sostanziale delle spese militari di circa l’8% (il nostro governo, invece, discute se mettere o meno le bombe sugli aerei in Afghanistan) e una grande cura dimagrante per la sanità: 7 miliardi di sterline in meno ogni anno. Tagli giustificati? Assolutamente si. Perché la sfida più innovativa e importante è quella del sistema scolastico: investimenti per 39 miliardi di sterline in 5 anni; un altro provvedimento che si distacca dalla politica della revisione pubblica italiana, dove anziché puntare sui giovani, sulla scuola e sull’università, che rappresentano un investimento di successo quasi sicuro, non si fa altro che tagliare, per sanare non si sa che.
Sembra strano vedere una “spending review” di tali proporzioni in un paese come il Regno Unito, soprattutto con i conservatori al governo. Ma è proprio questo che contraddistingue una nazione unita, con forte senso civico, con una classe dirigente seria che trova la giusta via per uscire dalla crisi, da un’altra nazione. Una nazione statica, mai innovativa, i cui cittadini si riconoscono in un presidente del Consiglio che balla “il bunga bunga”. Una nazione che ha paura di investire e che non si sforza di diventare europea.