di Stefano Santos
Martedì 14 maggio, all’Accademia di Belle Arti di Napoli, nell’ambito di una serie di appuntamenti organizzati dal Napoli Teatro Festival per far conoscere i principali protagonisti della rassegna che si terrà dal 4 al 23 Giugno, si è svolto l’incontro tra Ismael Ivo e il pubblico. Il coreografo brasiliano porterà in scena in prima mondiale, nel suggestivo scenario del Museo Nazionale di Pietrarsa, la performance Mishima, ispirata alla vita e all’universo creativo dell’artista giapponese Yukio Mishima. Protagonisti, come fu nel 2010 con Le Sacre du printemps – rilettura del capolavoro di Igor Stravinskij – i danzatori del gruppo “Les Danseurs Napolitains”, compagnia tutta composta di ballerini napoletani.
L’incontro è stato introdotto da Raffaella Tramontano, responsabile dell’ufficio stampa del Festival, con una panoramica generale del programma della manifestazione, ed è stato seguito dall’intervento di Giovanna Cassese, direttrice dell’Accademia, che si è concentrato sul rinnovo, per il sesto anno consecutivo, del rapporto di collaborazione tra l’Istituto e il Festival. Infatti, cinque studenti dei corsi di “Scenografia” e “Fashion e Design” parteciperanno come assistenti scenografi e assistenti costumisti, a titolo di tirocinio formativo, alla realizzazione di scene e costumi di quattro spettacoli, tra cui lo stesso Mishima.
La presentazione dello spettacolo, da parte di Ivo, ha seguito diverse direttrici concettuali.
La più pregnante, quella che ha ispirato il coreografo a concepire la performance (“La bellezza ti brucia la mano quando la tocchi” da “Colori Proibiti”), la concezione estetica di Yukio Mishima. Egli, nato in una famiglia con ascendenze aristocratiche, maturò e coltivò per tutta la vita l’attaccamento ai valori dei Samurai, tra i quali la venerazione per la figura dell’imperatore e il nazionalismo – ragione per cui fu spesso tacciato di fascismo dai commentatori europei, sebbene egli affermò sempre di non volersi schierare politicamente – da lui declinato in una singolare fascinazione per le forme artistiche tradizionali del Giappone, specie per quanto riguarda il teatro, come il Kabuki e il No, tanto presenti nella sua produzione drammaturgica.
Oltre al Giappone tradizionale, nei travagli del giovane Kochan nelle “Confessioni di una maschera” emerge il culto del corpo, materializzato dalla visione di San Sebastiano contorto, trafitto dalle frecce, concretizzatosi nella vita dello scrittore con la costruzione del corpo perfetto, scolpito, nello sforzo incessante di voler trasformare la vita in un’opera d’arte.
Un’opera programmata per concludersi il 25 novembre 1970 quando occupò il quartier generale dell’esercito di autodifesa dalla sua “Società di scudi” e tenne il suo ultimo discorso (contro il Trattato di San Francisco e l’occidentalizzazione del Giappone), commettendo seppuku, suicidio rituale.
Dall’ideale estetico alla sua materializzazione nella performance. Essa, come spiega Ivo, si svolgerà al tramonto – chiara allusione all’emblema nazionale giapponese – e i danzatori agiranno in uno scenario composto da più di due tonnellate di riso, modellato sui canoni estetici del giardino zen e dell’essenzialità delle forme. Come ne Le Sacre du printemps, vi è una celebrazione rituale, sempre sospesa tra la vita e la morte (rappresentata dal sangue). Chiare sono le allusioni al “Butoh”, danza contemporanea giapponese elaborata negli anni ’50 da Kazuo Ohno e Tatsumi Hijikata (il primo spettacolo, del 1959, fu basato su ‘Colori Proibiti’ dello stesso Mishima), con la presenza in scena dello sgabello dalle gambe storte reso celebre dal primo e di alcune caratteristiche tipiche del genere, come la pelle dipinta di bianco, le gestualità primitive e le espressioni grottesche, ispirate al teatro classico giapponese.
La performance sarà messa in scena il 15 e 16 giugno alle 20,45 nell’arena del Museo Nazionale di Pietrarsa.