CANNES – La giuria presieduta da Steven Spielberg (insieme con Ang Lee, Christoph Waltz, Nicole Kidman, Daniel Auteuil, Lynne Ramsay, Vidya Balan e Cristian Mungiu), ha emesso i verdetti, alcuni già nell’aria. Dopo il plauso della stampa, trionfa il film del tunisino Abdellatif Kechiche “La vie d’Adèle”, melodramma ciclopico di tre ore su un amore omosessuale, a cui prima di uscire nelle sale spetterebbe un po’ di censura e potature narrative: il motivo, secondo la giuria, è l’eccellenza di tre artisti, ovvero il regista e le due bravissime attrici Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. Ma una scelta motivata anche dalla sua attualità: le proteste per le nozze gay in Francia sono all’ordine del giorno. Strappa quindi la palma al contendente “Like Father, Like Son”, il bellissimo film del giapponese Kore-Eda Hirokazu, che porta a casa comunque il Premio della Giuria: un’opera difficile da dimenticare. Storici paladini del festival, i fratelli Coen vincono il Grand Prix con il loro “Inside Llewyn Davis”, impregnato di folk e identità americana. Per gli attori, meritatissimo l’alloro per Bruce Dern, lo splendido malinconico 76enne di “Nebraska”, e per l’ottima Berénice Bejo, che nel sublime “Le passé” emoziona non poco. Ma se c’è un premio che davvero non lascia dubbi è quello della regia, tosta e implacabile, di Amat Escalante: il suo atroce, crudissimo “Heli” segna una nuova svolta nel cinema d’arte, e conferma, un anno dopo il premio alla regia a Carlos Reygadas, il valore del recente cinema messicano. Il premio della sceneggiatura va al cinese Jia Zangke, per l’originale e conturbante “A Touch Of Sin”, racconto tetrapartito della corruzione della Cina odierna.
Nella sezione “Un certain regard”, la giuria presieduta dal danese Thomas Vintenberg assegna il premio principale a “The Missing Picture” di Rithy Pahn, il premio della giuria a “Omar” di Hany Abud-Assad, la migliore regia a Alan Guiraudie per “L’incconu du lac” e per l’intero cast a “La jaula de oro” di Diego Quemada-Diez.
Nella Semaine de la Critique vince l’italiano “Salvo”, di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia. La Camera d’or (il premio per la miglior opera prima) è del film “Ilo Ilo” di Anthony Chen (selezionato alla Quinzaine des Realisateurs).
Quanto ai cortometraggi, la Palma d’oro va al thriller coreano “Safe” di Byong-Gon, ma prendono menzioni speciali il poetico “37/o 4s” dell’italiano trapiantato in Francia Adriano Valerio, e “Le fjord des baleines” di Gudmundur Arnar Gundmunsson.