di Marco Chiappetta
CANNES – Che Jim Jarmusch sia uno dei registi americani più interessanti e originali degli ultimi trent’anni, nessuno lo mette in dubbio. Eppure l’ultima sua fatica, “Only Lovers Left Alive”, dimostra una pretenziosità e un’ambizione fuori persino dai suoi limiti, un esercizio molto fine a se stesso che non va da nessuna parte. La storia, o quel che resta, è quella di un amore che dura da secoli, quella dei vampiri Adam, musicista underground, e l’enigmatica Eve, divisi tra Detroit e Tangeri, e attorno al quale ruota la stravagante, incontrollabile sorella di lei, Ava, ma soprattutto un bisogno di sangue che possiamo facilmente leggere come metafora di tossicodipendenza. Un’opera rock, che unisce uno stile visionario a una musica possente, ma nel quale non c’è nulla. Digressioni, enigmi, no-sense, ne creano l’atmosfera da sogno, ma è tutto qui, vacuo, compiaciuto, lentissimo. Sfruttando la recente moda del cinema di vampiri, Jarmusch vi costruisce sopra una storia fiacca, zeppa di citazioni colte, sovraccarica di immagini e suoni, e totalmente senza spessore, in cui si ingolfano espedienti e dialoghi surreali fino all’incredulità, poi alla noia. Niente altro che un divertimento cinematografico, ma solo per il regista.