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“Terza Pagina” cambia veste, aspettando la nuova grafica

TerzaPaginadi Roberto P. Ormanni

Il primo articolo porta la data 4 Ottobre 2010. E’ l’editoriale che inaugurò il progetto “Terza Pagina” e presentò ai lettori la testata online che ancora oggi potete “sfogliare”. Da allora sono trascorsi un migliaio di articoli e una strada fatta di notizie, storie e sguardi verso il mondo.
Oggi, dopo parole spese per raccontare la realtà che si trasforma dietro ogni evento, “Terza Pagina” cambia dall’interno e lo fa rinnovando il proprio logotipo. Il marchio che fin dall’inizio ha rappresentato la testata si rivoluziona e va ad inaugurare una nuova stagione che presto vedrà la luce in cui il portale sarà costruito attorno ad una grafica più semplice ed interattiva.
Un logo di testata più spoglio, disadorno e sincero come l’anima che da sempre muove il progetto d’informazione e i cuori di “Terza Pagina”. Un logo che vuole ammodernarsi senza però perdere l’umiltà e il riguardo verso chi, prima di noi, il mestiere del giornalista lo ha esercitato fino in fondo. E’ per questo che dietro il nostro nome e cognome, Terza Pagina, potrete leggere alcune righe scritte qualche tempo fa da un giornalista in ricordo di un vecchio collega scomparso. Sono parole giuste che porto con me sempre e ovunque e che mi ricordano, quando mi capita di dimenticarlo, il senso vero dell’essere un giornalista. Parole perfette che torno a leggere regolarmente e che ripeto a me stesso in continuazione, come un’antica promessa da rispettare.
Il testo recita più o meno così:

“Il giornalismo, che è uno dei mestieri più ignobili del mondo (rifugio di vice-scrittori, palestra di improvvisatori, bolgia di pettegoli), può anche diventare uno dei mestieri più coraggiosi e necessari. A un patto: che il giornalista ci creda e che lo voglia. Il giornalismo non esiste, esistono i giornalisti. Quelli bravi e anche quelli bravissimi non li riconosci perché sono infallibili (ogni grande firma ha in archivio i suoi errori). Li riconosci perché non sprecano mai il mestiere, non lo lasciano scolorire nella routine, non permettono alle parole di perdere significato e potere. Le parole senza significato sono quelle che occultano, coprono tutto sotto una coltre inespressiva, sono il bla-bla che ammazza la pubblica opinione e la confonde. Le parole bene assestate, scelte con fatica e a volte dissotterrate dal silenzio e dal conformismo, sono un’arma fantastica e un dono alla comunità nella quale si vive. Un dono di libertà. Il giornalismo non è all’altezza di quel dono, ma alcuni giornalisti sì”.