di Stefano Santos
Il crepuscolo sull’Arena del Museo Nazionale di Pietrarsa, il palcoscenico che in realtà è una vasca ricolma di due tonnellate riso – creato da Marcel Kaskeline – sette sgabelli neri, dalle gambe sbilenche, gli stessi di Kazuo Ohno fotografato da Eikoh Hosoe, disposti in linea in fondo al palco, hanno fornito la cornice di Mishima, installazione coreografica creata da Ismael Ivo. Come detto nell’incontro che si tenne all’Accademia delle Belle Arti il maggio scorso, la performance è frutto di una residenza artistica, realizzata a Caserta, con i danzatori della compagnia Arabesque/Les Danseurs Napolitains, quella che De Fusco definiva “cantiere d’arte teatrale” e ha visto come ospite e protagonista il danzatore vietnamita Khai Ngoc Vu.
La coreografia è stata concepita per essere evocativa della vita e dell’universo immaginativo di Yukio Mishima, figura controversa come poche nel panorama letterario mondiale, al pari di altre come Pasolini, Artaud, Mapplethorpe, accomunate dal voler rendere la vita continuamente pari e simile all’arte, all’estetica che essi intendevano perseguire. Essa è stata divisa in una sequenza di “‘immagini”, che fanno riferimento a una delle molteplici chiavi di lettura del pensiero dello scrittore giapponese. Prelude, il sole – Amaterasu, la dea shintoista del sole, mitica antenata della famiglia imperiale – che tramonta, seguita dalla musica di Arvo Part che a sua volta è seguita dall’entrata in scena dei ballerini e del riso, che diventa un dagherrotipo su cui i ballerini e il protagonista Mishima impressioneranno i propri movimenti, come accade nei giardini zen. Alter Ego indaga sulla sessualità ambivalente dell’artista, di cui furono note diverse relazioni omosessuali (forti sono pure le allusioni nei suoi scritti, soprattutto in Confessioni di una Maschera e Colori Proibiti), ma sul cui orientamento, anche per il riserbo che oppose la vedova, non se ne seppe mai con certezza. Vediamo così Mishima-Ngoc Vu diviso tra un uomo e una donna, attratto egualmente da entrambi.
In Samurai ci si addentra nella fascinazione per il giappone tradizionale, e il sistema di valori della casta guerriera feudale. L’allusione è chiara quando si osserva Mishima indossare l’Hakama – indumento tradizionale per il Kendo e l’Aikido – circondato dai ballerini che brandiscono ‘spade’ di legno. Confessioni di una maschera riporta l’episodio della folgorazione che il giovane Kochan riceve quando trova in un libro l’immagine di San Sebastiano trafitto dalle frecce: osserviamo i ballerini, vestiti di soli stracci come il santo, mimare la freccia che li colpisce e la posizione in cui Sebastiano è ritratto nell’iconografia.
Carnevale della Morte sviluppa l’estetica del Teatro Butoh: con il viso truccato di bianco e le labbra colorate di rosso, i ballerini si producono in movimenti convulsi, in un esaltazione delle gestualità, del muscolo contratto nello sforzo, la fisicità del corpo.
La celebrazione rituale, che vede il protagonista cospargersi di sangue, viene interrotta da Traume di Wagner che ristabilisce il sentiero, formato dagli sgabelli. Il personaggio principale scompare in direzione del Dark Sun.