di Stefano Santos
Il New York Times dell’ottobre del 2011 riportò di un ‘patto creativo’ che occorse una decina di anni fa tra Toni Morrison, premio Nobel per la letteratura, e Peter Sellars, eccentrico regista teatrale, scaturito da un’accesa discussione sull’Otello di Shakespeare: Sellars la riteneva un’opera “terribile”, dalla utilità ormai superata; la scrittrice invece era completamente in disaccordo.
Sellars osservò il patto nel 2009 con una rappresentazione hi-tech dell’Otello che ricevette pareri contrastanti da parte della critica internazionale. La Morrison rispose nel 2011 con “Desdemona”, che debuttò a metà maggio in prima mondiale al Akzent Theater di Vienna. Nel 2013 arriva in Italia, come uno degli appuntamenti più attesi del Napoli Teatro Festival, in cartellone il 18 e 19 giugno presso il Teatro Mercadante.
Desdemona si allontana decisamente dal canone shakespeariano. Innanzitutto perché la vicenda viene raccontata attraverso il punto di vista e la voce di Desdemona, moglie di Otello, interpretata dall’attrice statunitense Tina Benko – che dà la voce a diversi personaggi, tra cui lo stesso Otello e la serva Emilia – Inoltre, non ci si trova più nella Venezia cinquecentesca. La Morrison fa emergere una nuova figura, appena accennata dallo Shakespeare: la balia di Desdemona, da lei chiamata Barbary e di cui ricorda la “canzone del salice”, che le insegnò prima di morire di crepacuore. ‘Barbary’ è una parola che nell’Inghilterra del XVII secolo indicava ‘Africa’ e quei potentati barbareschi di cui si narra una delegazione di ambasciatori che giunse a Londra per concludere affari con la regina Elisabetta, episodio che suscitò molto scalpore in città, forse arrivando a toccare lo stesso Shakespeare.
L’origine africana della balia, da presupposta com’era nel testo, si materializza nella rappresentazione, impersonata da Rokia Traoré, una delle nuove figure chiave della musica africana, in particolare dell’etnia bambara, maggioritaria in Mali. La cantante maliana firma quasi integralmente la musica dello spettacolo, che contribuisce a far spostare lo spazio ideale, la visione che si materializza nella mente dello spettatore in un’Africa dalla terra desertica di toni arancio, con Timbuctu a stagliarsi sull’orizzonte, attraverso arrangiamenti sobri ed eleganti, in cui emergono le esotiche sonorità degli strumenti tradizionali dell’Africa occidentale, il Ngoni e il Kora, in cui la lingua bambara si mescola con la parte parlata in inglese dalla Benko, senza che si possa avvertire una qualche dissonanza straniante.
A partire dal principio, in cui si sviluppa una riflessione sulla donna, storicamente sottomessa e in soggezione rispetto all’uomo (Desdemona o δυσδαιμωνια , “destino avverso”, “sfortuna”, “cattivo auspicio”); il racconto dei viaggi del giovane Otello alla sposa, là dove le genti sono invisibili come i camaleonti, o hanno il volto nel torace e non possono cantare perché non hanno una gola; l’evocazione degli spiriti tradizionali nell’incontro tra le anime delle madri dei due sventurati sposi; per arrivare all’incontro con Otello e con la stessa Barbary, verso il termine: nulla risulta fuori posto.
La voce della Traoré ha la straordinaria capacità di affascinare, ottimamente supportata – da Mamah Diabaté per il Ngoni, Mamadyba Camara per il Kora, Fatima Kouyaté e Bintou Soumbounou come voci di supporto – mentre l’interpretazione della Benko riesce a spiccare grazie a una voce che riesce a catturare l’attenzione dello spettatore, con un certo eclettismo nell’interpretare diversi personaggi. L’unica nota negativa è forse la lunghezza complessiva di più due ore, senza alcuna interruzione, che può risultare poco sostenibile per alcuni spettatori.
Nonostante ciò, opera è stata accolta con entusiasmo dal pubblico del Mercadante ed è stata salutata con un applauso lungo diversi minuti, con apprezzamenti rivolti soprattutto alla performance della Traoré.