di Stefano Santos
Arrevuoto è un progetto che nasce alla fine del 2005, all’indomani dell’esplosione della Faida di Scampia, su impulso del Teatro Stabile di Napoli. Con le tensioni sociali sempre vibranti e palpabili si cercò di preparare, assieme alla compagnia del Teatro delle Albe di Ravenna e con la regia di Marco Martinelli, uno spettacolo ispirato a “La Pace” di Aristofane, in quattro laboratori sparsi per la città, per poi essere rappresentata in un auditorium di periferia. Fondamentale è la volontà di unire due realtà, spesso avvertite come lontane e contrapposte, come quelle della periferia e del centro agiato di Napoli, attraverso l’incontro e lo “scontro” tra adolescenti provenienti da questi contesti. Con alterne vicende, nel 2012 il progetto si costituisce come “Associazione di teatro e pedagogia”, in stretta collaborazione con il Teatro Stabile del Mercadante.
Arrevuoto 2013 – ottavo movimento Zingari/Boyun eğme! chiude il Napoli Teatro Festival Italia 2013, all’Arena del Museo Nazionale di Pietrarsa. Il doppio titolo allude alle differenti componenti dello spettacolo.
“Zingari” allude all’ispirazione principale dello spettacolo, cioè l’opera omonima di Raffaele Viviani, che ne riprende lo scheletro e i temi concettuali principali, e allo stesso tempo rifiuta la raffigurazione stereotipica dei nomadi, in ottica di un riavvicinamento sociale tra gli adolescenti napoletani e rom, che hanno preso parte al laboratorio teatrale. Boyun eğme (“Non sottometterti”) è invece uno degli slogan che hanno accompagnato le proteste di Istanbul, #OccupyGezi, e rimanda all’apertura internazionale del progetto, che ha visto la collaborazione del Sulukule Children’s art atelier, laboratorio musicale formatosi nell’ambito del quartiere omonimo di Istanbul, che da secoli ospitava la comunità romani della città e che nel 2009 è stato demolito, costringendo gli abitanti a una diaspora nella metropoli turca. Essi, infatti, hanno firmato le musiche dello spettacolo, con la direzione musicale di Aykut Buyukcinar e l’esecuzione dal vivo di musicisti, con gli strumenti tipici della tradizione gitana. Altra caratteristica è il suo essere frutto di un lavoro corale – nessun nome infatti tende a spiccare sul cartellone, cosa indicata anche dal fatto che la regia è a quattro firme, quelle Nicola Laieta, Christian Giroso, Tonino Stornaiuolo e Marta Porzio, supervisionato da Maurizio Braucci e Roberta Carlotto, con il primo che firma la direzione artistica.
Lo spettacolo è stato preceduto da un prologo. Vediamo la masnada di protagonisti accorrere all’ospedale “europeo” perché Gennarino è malato di un morbo imprecisato. Tuttavia non lo fanno entrare perché l’ospedale è chiuso, non ha fondi, perché non si tratta di un “signore”, perché è in crisi.
La crisi, la difficile situazione in cui versa il movimento di integrazione europea sono infatti i principali temi attorno a cui si è sviluppata la carica dissacrante e ironica dei personaggi.
Il povero Gennarino, nel suo delirio, ripete i mantra troppo ripetuti e insistiti nei titoli dei giornali, sulla crisi economica, sullo spread, su equitalia, sulle fatture, tra le preoccupazioni della sua tribù e soprattutto di Palomma, la promessa sposa. Il capo tribù, O’ Diavolone, è preoccupato con i costi e le spese per costruire la casa. Si osservano così, con un occhio divertito ma allo stesso tempo pensieroso, le vicende della tribù di protagonisti, che parlano un napoletano quotidiano e popolare fatto di slang, e che letteralmente arrevotano il palcoscenico.
Tuttavia il tutto lascia un leggero sapore di amaro in bocca, per un’azione scenica alquanto corta e di poco respiro, causato dai tempi stretti in cui si è potuto preparare lo spettacolo (solo venti giorni) , dalle parole di Maurizio Braucci, salito sul palco alla fine dello spettacolo. L’obiettivo è quello di ampliare il progetto e di portarlo per l’anno prossimo al Festival Teatrale di Istanbul, per festeggiare, magari, il successo delle proteste di Gezi Park.