di Lisa Davide
Nel Siracide c’è scritto “Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua”. Forse Lounès Matoub, attivista, poeta e cantautore algerino del secolo scorso, con la sua vita e anche con la sua morte, ha voluto far comprendere quanto non solo siano importanti le parole ma soprattutto quanto significhi la lingua che le origina. Dalla lingua si ricostruisce la storia di un popolo; tuttavia, ci sono popoli che faticano ad affermare la propria lingua e, conseguentemente, la propria identità e libertà d’espressione. Lounès Matoub credeva in questo, più precisamente nel riconoscimento della lingua berbera e nella forza delle proprie parole. Ed è questo il motivo per cui viene ricordato non solo come un attivista, ma soprattutto come poeta e cantautore.
Nato il 24 gennaio 1956 Taourirt Moussa (Algeria), appassionato di musica sin da ragazzino, si reca a Parigi nel 1978 dove entra a far parte di ambienti musicali per lo più frequentati da cantautori e poeti algerini come Idir e Slimane Azem. all’inizio degl’anni ’80 si impegna fortemente nella politica, difendendo i diritti della propria lingua e cultura berbera, sospinto dal vento della Tafsut Imazighen (Primavera berbera). Divenendo sempre più un personaggio ostile al potere algerino, nel 1994, per due settimane, viene rapito dai terroristi islamici. Ciononostante, continuò la sua lotta per il decentramento dell’istruzione pubblica e l’affermazione di uno stato concretamente democratico e laico, che lo spinsero per quasi diciotto anni a far parte del partito RCD che sosteneva proprio quest’ideali politici. Matoub, in vent’anni di carriera discografica, non dimenticò mai, neppure in uno dei suoi ventotto album, l’amore per la sua terra natale, la Cabilia. Forse fu proprio l’enorme forza dell’amore del suo messaggio che spinse la madre, nel giorno del suo funerale, a dire che “Il volto di Matoub ci mancherà, ma i suoi canti e le sue poesie rimarranno per sempre impressi nei nostri cuori e la sua lotta per la pace continuerà”. È attraverso la vita e la speranza che domani possa essere migliore di oggi che possiamo superare ogni dolore che ci affligge. Non a caso l’opera più rappresentativa del poeta algerino fu proprio l’autobiografia intitolata “Il ribelle”, scritta come le sue poesie e canzoni, con un linguaggio colto ma popolare, perché anche le persone più ignoranti trovino in una”bella” parola la speranza di scriverne un’altra, trovino il coraggio di appassionarsi alla comunicazione verbale che a differenza di quella eseguita con le armi su un fronte, lascia sempre un’occasione di rinascita.
Lounès Matoub muore il 25 giugno 1998 vicino il proprio villaggio, barbaramente assassinato da un commando armato.
“Il rumore del disastro passato”
Il rumore del disastro passato,
il mulino che ha cessato di macinare,
fate che agli incontinenti si riversi la semola.
L’uomo è dignitoso, ed è una volta che la morte ha prevalso
che voi vedete posarsi su di lui i frutti da raccogliere,
come l’impegno visibile a difendere la propria terra.
Voi vi date delle arie per usurpare la nostra identità,
ma l’onore si scioglie dentro le voste mani.
Quando io lascerò questo mondo,
sulla mia tomba, voi potrete testimoniare.