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La fine del Teatro San Carluccio di Napoli: come muore la cultura in tempo di crisi

Il Teatro San Carluccio, in via San Pasquale a Chiaia

Il Teatro San Carluccio, in via San Pasquale a Chiaia

di Vincenzo Sorrentino

Fra meno di una settimana il Teatro San Carluccio chiuderà. Il piccolo teatro nel cuore di Napoli, fondato quarant’anni fa da Franco Nico e da Pina Cipriani, che ancora oggi ne è l’entusiasta animatrice, cesserà di esistere alla fine del mese.
Fra i motivi dello sfratto si apprende, nel comunicato ufficiale diffuso dal teatro, incide in larga misura l’aumento del fitto mensile, giunto, negli ultimi cinque anni, a 3100 euro. Troppo per le scarse risorse in dotazione. Già nel novembre del 2011, peraltro, il teatro si era visto negare il piccolo fondo di 10.000 euro ad esso destinato dal Ministero dei beni e delle attività culturali fin dal 1978.
Il Teatro San Carluccio nacque nel 1972 nel quartiere di Chiaia, in via San Pasquale, nel pieno centro residenziale della città. Nel 1978, la sede stabile della Compagnia del Sancarluccio incoraggia il Teatro in Musica di Pina Cipriani e Franco Nico e propone attori emergenti che, se non devono la loro fama esclusivamente al piccolo teatro napoletano, di sicuro se ne sono avvalsi come di un iniziale beneaugurante – e poi decisamente fortunato – trampolino di lancio.
Fra di essi, infatti, troviamo il forestiero Roberto Benigni, ma anche i napoletani Leopoldo Mastelloni e Massimo Troisi. Hanno calcato quindi le scene del teatro anche registi e attori emergenti o nel solco della tradizione come Mico Galdieri, Gennaro Palumbo e Linda Moretti.
Nel decennio successivo, il San Carluccio ha ospitato gli sperimentatori della nuova drammaturgia napoletana, fra i quali spicca Annibale Ruccello, una cometa nel panorama teatrale del secolo scorso. Sarà poi il turno di Mario Martone e Toni Servillo, i cui nomi risultano forse più noti: entrambi, prima dei successi internazionali, conobbero assi e fondale del San Carluccio.
Negli anni Novanta e Duemila, gli spettacoli vengono rinnovati, accogliendo giovani compagnie di teatro italiano non inserite in circuiti ufficiali. È di questi anni, inoltre, l’apertura alle scuole, come i vicini licei Umberto I e Mercalli, ai quali sono proposti spettacoli “didattici”, ma anche testi, allestimenti e compagnie che vadano incontro alle esigenze e stimolino le curiosità delle nuove generazioni.

Sala d'ingresso del Teatro San Carluccio

Sala d’ingresso del Teatro San Carluccio

Il primo approccio di chi vi scrive con il San Carluccio avvenne negli anni del liceo, incoraggiato, in orario curriculare ed extra-curriculare, dal professore di lettere della sezione C, che ci indirizzava  all’emozione delle infinite storie, attraverso letture, suoni, rappresentazioni, immagini reali e riprodotte. Oltre all’opera lirica del San Carlo e alla prosa del Mercadante, gli spettacoli del Sancarluccio e del Teatro Nuovo costituirono per i giovani un incontro anche con testi teatrali più leggeri e, spesso, più godibili, reso unico dall’estrema vicinanza tra palcoscenico e platea, da una continuità avvolgente che inseriva tutti sulla ribalta e invitava all’interazione con l’attore.
Nella difficoltà di reperire informazioni certe sugli spettacoli ai quali assistemmo, posso solo fare affidamento sulla memoria e ricordo, fra le altre, una recita che proponeva un adattamento da Shakespeare ed ancora un’incredibile selezione di canti dall’Inferno dantesco, scelti e recitati da un solo giovane attore presente sul palco, privo di qualsiasi scenografia.
Negli anni dell’università, frequentata lontano da Napoli, ho perso i contatti con molte delle istituzioni culturali partenopee, trascorrendo da “fuori sede” la maggior parte dell’anno. Al rientro in città, a inizio mese, la notizia della chiusura del piccolo stabile mi è giunta improvvisa, ma non del tutto inaspettata, considerando lo stato di agitazione che interessa l’intero mondo della cultura e del teatro in particolare, da Milano a Messina.
Mi sono chiesto come fosse possibile che un quartiere come Chiaia, forse non culturalmente impegnato come il centro storico ma sicuramente attento al bisogno di coltivare stimoli e conoscenze dei residenti – e ne sono dimostrazione il PAN, la Casa della Fotografia di Villa Pignatelli, ma anche gli affollati incontri alla Feltrinelli di Piazza dei Martiri – possa rinunciare ad uno spazio come il San Carluccio. E cosa potrebbe mai sorgere al suo posto?
Circa un mese e mezzo fa, il premier Letta ha affermato, nel corso di un’intervista a Che tempo che fa di Fabio Fazio, che si sarebbe dimesso all’ennesimo taglio alla cultura. Certo, sull’aumento di un fitto non può rispondere il presidente del Consiglio, ma segnali forti da parte del governo che incoraggino la rivalutazione della cultura e dei luoghi deputati ad ospitarne le espressioni farebbero  sperare. Il ministro Bray, finora, si è distinto per serietà ed ha ascoltato i problemi delle singole realtà. Si fa sempre più vicino il momento di intervenire e, insieme alle idee avanzate sulla reggia di Caserta, sul Colosseo e su Pompei, si renderanno necessari provvedimenti anche per arginare lo stato di agitazione in cui versano molti teatri italiani. E perché non iniziare da una città come Napoli, da sempre oggetto di amori fulminanti quanto appassionati. Non sempre, purtroppo di lunga durata.
Infine, come ebbe a dire pochi anni fa Bernd Neumann, già rappresentante del governo federale tedesco per la cultura: “È proprio in tempi di crisi che si deve lottare per non fare tagli alla cultura perché è il valore e il fondamento che dobbiamo mantenere”.
Forse bisognerebbe smettere di seguire il modello virtuoso tedesco solo quando si tratta di economia.

 

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