di Gennaro Di Domenico
Che l’inquinamento rappresenti uno dei principali problemi con cui l’uomo sta lottando da ormai cinquant’anni (e con risultati non propriamente positivi) è cosa risaputa una tematica ampiamente trattata. Ma recentissima è la scoperta fatta a seguito della ricerca pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet Oncology, i cui risultati attestano la prima conferma della stretta relazione tra inquinamento atmosferico e tumori al polmone. L’esito della maxiricerca, condotta su oltre 300.000 persone residenti in nove Paesi europei, è stato fatale sia in generale che in particolare: esiste davvero una relazione tra smog e cancro al polmone, e l’Italia ha le città con l’aria peggiore fra tutte le capitali europee prese in esame. Allo studio hanno collaborato 36 centri e oltre 50 ricercatori, tra cui l’Italia con un gruppo di ricerca dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, guidato da Vittorio Krog. E’ stato misurato in particolare l’inquinamento dovuto alle polveri sottili tossiche presenti nell’aria (particolato Pm 10 e Pm 2,5) dovute in gran parte alle emissioni di motori a scoppio, impianti di riscaldamento e attività industriali: emerge che per ogni centimetro di 10 microgrammi di Pm10 per metro cubo presenti nell’aria, il rischio di tumore al polmone aumenta di circa il 22%. Tale percentuale sale al 51% per una particolare tipologia di tumore, l’adenocarcinoma, l’unico tumore che si sviluppa in un significativo numero di non fumatori . Inoltre si è visto che se nell’arco del periodo di osservazione un individuo non si è mai spostato dal luogo di residenza iniziale, dove si è registrato l’elevato tasso di inquinamento, il rischio di tumore al polmone raddoppia e triplica quello di adenocarcinoma. Lo studio dimostra che non basta mantenersi al si sotto dei valori soglia previsti dalle attuali normative della Comunità europea in vigore dal 2010 (particolato al di sotto dei 40 microgrammi per metro cubo per il Pm10, e al di sotto dei 20 microgrammi per i Pm25 ); anche rispettando i limiti di legge, non si esclude del tutto il rischio di tumore al polmone, essendo l’effetto presente anche al di sotto di questi valori, precisano gli scienziati.
“Per il carcinoma al polmone – commenta Vittorio Krogh, epidemiologo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano tra i firmatari della ricerca – la causa principale resta comunque il fumo, ma l’inquinamento è un fattore di rischio aggiuntivo. Inoltre, agli inquinanti atmosferici sono esposti tutti, indistintamente, e c’è pochissimo controllo da parte dell’individuo. Invece, si può decidere di smettere di fumare”. Lo studio è stato innovativo, rispetto a ricerche simili svolte in passato, perché sono state esaminate individualmente le oltre 300 mila persone coinvolte: “Sono state messe insieme diverse coorti d’Europa – continua Krogh – e le persone sono state seguite individualmente valutando stato di salute e i vari fattori ambientali: si tratta di un’indagine molto pulita e difficile da contestare”. Il monitoraggio ha riguardato persone di età compresa tra i 43 e i 73 anni, uomini e donne provenienti da: Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Austria, Spagna, Grecia e Italia. In Italia, le città interessate sono state Torino, Roma e Varese. Le persone sono state reclutate negli anni ’90 e sono state osservate per un periodo di circa tredici anni, registrando per ciascuno gli spostamenti dal luogo di residenza iniziale. Del campione monitorato, hanno sviluppato un cancro al polmone 2.095 individui.
Prima di Lancet, un altro studio pubblicato nel Giugno 2007 dall’organizzazione no-profit Ciin (Chemical injury information network), dal titolo “Our toxic times”, attestò che alcune sostanze chimiche possono contribuire al rischio di cancro al seno. Tra queste i PCB (bifenili policlorinati), la cui esposizione umana avviene soprattutto nel pesce; i PCA, la cui esposizione si verifica a causa dell’inquinamento atosmefirico provocato da auto, tir, centrali elettriche, fumo di tabacco, cibi grigliati e affumicati; la diossina, presente prevalentemente nel grasso del latte, nel pesce e nella carne (ma le fonti primarie di diossina nell’ambiente sono gli inceneritori dei rifiuti, la produzione della carta e altri processi industriali); i solventi organici, presenti generalmente sul posto di lavoro (lavanderie a secco, saloni di bellezza, negozi di macchine) e in alcuni prodotti di consumo. Gli studi hanno rilevato associazioni tra il rischio di cancro al seno e il lavoro con solventi nei negozi di macchinari, nell’industria alimentare, in lavanderie a secco, nella manifattura di pelle e pellicce, nella manifattura del vetro, nella manutenzione degli aerei e tra le donne arruolate nella U.S. Army.