di Francesco Cannone
Di fronte allo sgretolarsi in atto dello Stato sociale, in difesa dei diritti umani, dell’ambiente e dei valori della democrazia, “Indignatevi!”. Questo il messaggio e il titolo di un celeberrimo pamphlet del dicembre 2010, divenuto caso editoriale (con più di 4 milioni di copie vendute in tutto il pianeta, di cui 3 in Francia e 500.000 in Spagna; tradotto in trenta lingue e pubblicato in un centinaio di Paesi) e sorprendente fenomeno politico (con la discesa in campo nel maggio 2011 degli Indignados spagnoli, seguiti a ruota da altri movimenti simili in tutto il mondo). A poco più di sei mesi dalla morte dell’autore, Stéphane Hessel, avvenuta il 27 Febbraio 2013, a 95 anni, poco dopo aver terminato “Non arrendetevi!”, pamphlet che ha fatto seguito a “Impegnatevi!” (marzo 2011), vale la pena riprenderne la viva lezione sul tema dell’impegno civico.
Nel suo “Indignez-vous!”, Stéphane Hessel, membro della Resistenza francese, ne richiama i valori e le conquiste sotto attacco e poi esorta: “Il motore della Resistenza era l’indignazione. Ora tocca voi, indignatevi! Quando siamo indignati diventiamo militanti, forti e impegnati. Abbracciamo un’evoluzione storica orientata” verso una sempre maggiore giustizia, fino al raggiungimento della libertà totale dell’uomo, che si ha nello Stato democratico nella sua forma ideale. Dei motivi per indignarsi e sui quali impegnarsi (rigorosamente in maniera non-violenta, perché “la violenza non è efficace”) viene offerto un catalogo aperto, esemplificativo: l’immenso divario in continua crescita tra ricchi e poveri; la non realizzazione di quanto sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (della quale Hessel è stato co-redattore); la dittatura dei mercati finanziari che minaccia pace e democrazia; lo stato del pianeta; la situazione della Palestina. Ma ciò che conta, secondo Hessel, oltre i singoli temi, è “la capacità d’indignarsi e l’impegno che ne consegue”. “In questo nostro mondo – scrive l’autore – esistono cose intollerabili”, anche se “oggi le ragioni per indignarsi possono sembrare meno nette, il mondo più complesso. Occorre affinare lo sguardo, scavare. Cercate e troverete. L’indifferenza è il peggiore degli atteggiamenti”.
Esortazione storicamente dimostratasi funzionale oltre ogni più rosea aspettativa. Eppure, l’impostazione di pensiero (superata dallo stesso Hessel nelle sue opere successive) può essere criticata come messo esemplarmente in luce in “Indignarsi non basta” (marzo 2011), pamphlet-conversazione tra Pietro Ingrao (membro della Resistenza italiana e storico deputato del PCI), Maria Luisa Boccia e Alberto Olivetti. “L’indignazione – spiega Olivetti – è un sentimento di reazione necessaria, ma non sufficiente”. E prosegue: “Da Hessel indignazione e impegno vengono così strettamente congiunti che finiscono per essere un tutt’uno, c’è una inclinazione a far coincidere moti dell’animo e condotta civile e ad assumere questo virtuoso congiungersi come una affermazione efficace, immediatamente positiva. Coerentemente, può sigillare ‘Indignatevi!’ con un motto: ‘A quelli e quelle che faranno il XXI secolo, diciamo con affetto: Creare è resistere. Resistere è creare’”. Eppure, aggiunge Pietro Ingrao, “per creare non basta resistere”. Il partigiano e politico italiano nota come “tutto ciò che la resistenza ha creato è dovuto a ben altro che non a una prima, pur decisiva, reazione. Indignarsi non basta. Bisogna costruire una relazione condivisa, attiva. Poi la puoi chiamare movimento o partito o in altro modo. Anche se è irrinunciabile, la responsabilità individuale non basta. Occorre costruire un soggetto politico”. Soggetto politico che Ingrao analizza a fondo: “Si tratta di capire bene, studiare quale possa essere, che forma debba assumere, comprendere in quali modi, volta a volta, questa esigenza si realizzi. E’ molto forte il rischio che i sentimenti dell’indignazione e della speranza restino, come tali, inefficaci, in mancanza di una lettura del mondo e di una adeguata pratica politica che dia loro corpo”. Lo storico esponente del PCI conclude poi: “Che l’indignazione possa supplire alla politica e, in primo luogo, alla creazione delle sue forme efficaci è illusorio”.