E così, dopo aver visitato club, strade e luoghi vari in giro per l’Inghilterra, arriviamo a Liverpool, tappa conclusiva del nostro viaggio. Il percorso termina proprio lì dove qualcosa è iniziato; proprio lì dove nacque la band inglese che, prima degli Stones, si spinse alla conquista del nuovo mondo, l’America. Qui nacquero i Beatles. E qui vivono ancora i Beatles. I quattro non hanno mai lasciato la loro città, non l’hanno mai abbandonata. Ciò che si sta cercando di dire è che entrando a Liverpool, girando per le sue vie, fra i suoi vicoli, fra i suoi palazzi, si avverte ancora, in maniera quasi “invadente” ma di sicuro rasserenante, la presenza dei Fab Four. Qui tutto parla di loro. Raffigurazioni sui muri, statue sul tetto dei palazzi, nomi dei pub, musei, negozi di merchandising. Liverpool significa Beatles, nome che mette in secondo piano qualunque altro musicante che cerchi di accaparrarsi l’appellativo di “quello da Liverpool”. Non esistono rivali.
Nel centro della città sorge il Cavern Club, locale visitato specialmente da turisti, talvolta da frequentatori abituali che hanno visto quel posto cambiare negli anni e spesso da visitatori occasionali che alloggiano a Liverpool solo per una notte. Sì, non c’è dubbio, la parola chiave è “speculazione” su di un nome che è ormai diventato un marchio. Ma c’è da fidarsi, vale la pena seguire questi piccoli “beatle-tour”. Il Cavern in particolare è un luogo da visitare, da vivere anche solo per poche ore. È qui che il quartetto iniziò la sua carriera; pensate che sono circa 300 le volte che la band si esibì in questo posto. Ma attenzione: il club originale fu distrutto. A pochi metri di distanza venne però ricostruito, utilizzando gli stessi mattoni che sostenevano la vecchia struttura. Questo diviene così un posto di ritrovo, forse un covo per turisti, ma sicuramente un locale dove con poche sterline è possibile entrare e godersi ore ed ore di musica live. Tanti altri si sono esibiti in quelle stanze, e moltissimi musicisti continuano a farlo, da band o cantanti “amatoriali” che si dilettano suonando cover, a nomi celebri o emergenti che forse cercano un po’ di fortuna dove i Fab Four, prima di loro, la trovarono.
Non si vuole trasformare quest’ultimo intervento sulla musica inglese nell’ennesimo monologo sui Beatles. Si vuole però cogliere un’occasione per concludere questo viaggio stimolando la riflessione di chi legge. Proviamo a chiederci perché tanti vengono da qui, dall’Inghilterra, e perché il rock e la maggior parte delle sue firme più celebri abbiano avuto un passaporto inglese. L’Italia non ha nessun genio o capacità creativa da invidiare agli inglesi o ad altre popolazioni del mondo. E allora? Le possibili risposte sono due. La prima è quella di ridurci a far riferimento al caso: pura coincidenza, sarà venuta fuori una star e poi da lì le band si sono moltiplicate. L’altra risposta, forse altrettanto scontata, è probabilmente la più veritiera. In luoghi segnati dal disagio giovanile, dall’assenza di “distrazioni” in quei centri industriali che mancavano di attrattive forse più comuni in altri centri occidentali, l’attenzione per la scena musicale è stata maggiore. In parole povere, non è stata solo la creatività di chi suonava, ma anche l’interesse di chi ascoltava a fomentare lo sviluppo del rock inglese. In altri paesi, come il nostro, l’avanguardia è stata spesso rigettata perché non compresa; qui invece è stata accolta a braccia aperte da giovani ascoltatori che vedevano nella musica l’unico sostegno per una vita ancora da realizzare.
Termina così il nostro viaggio, tra foto, poster e cartoline che raffigurano un mondo affascinante, patria di tanti nomi che abbiamo avuto il piacere di ricordare.