Dopo oltre un mese di detenzione, fatto di accuse, controaccuse, dichiarazioni e clamorose smentite, gli attivisti di Greenpeace restano detenuti nel carcere russo di Munmarsk. I trenta manifestanti, trattenuti dallo scorso 19 Settembre con l’accusa di pirateria, a seguito di un’azione pacifica compiuta dalla nave Artic Sunrise verso una piattaforma petrolifera nel mar di Barents con l’intento di denunciare i piani della Gazprom, restano in cella nonostante la decadenza dell’accusa che prevedeva una pena dai dieci ai quindici anni.
Tutto inizia la mattina del 18 settembre, quando due attivisti di Greenpeace vengono fermati mentre protestano pacificamente contro le trivellazioni petrolifere sulla piattaforma Prirazlomnaya della compagnia Gazprom, la prima destinata ad estrarre petrolio dall’Artico. Il giorno successivo, attraverso una serie di comunicati, l’associazione comunica che la Guardia costiera russa ha abbordato la nave Arctic Sunrise di Greenpeace International, in acque internazionali, arrestando le altre ventotto persone che si trovavano a bordo. Le autorità russe non solo si sono rese responsabili di aver abbordato la nave, violando in tal modo il diritto internazionale che consente la libera navigazione nella EEZ (Zona economica esclusiva della Russia), ma si ritiene che abbiano fatto ricorso alla forza minacciando gli attivisti e il capitano della nave con delle pistole, sparando addirittura undici colpi di avvertimento. Nelle giornate del 20 e 21 Settembre vengono alla luce nuovi particolari, secondo cui l’Artic Sunrise, per dichiarazione diretta del Ministro degli Affari Esteri russo Sergej Lavrov, avrebbe rappresentato una minaccia per la sicurezza e l’ambiente. L’azione di abbordaggio da parte della Guardia Costiera si è svolta come segue: per mezzo di un elicottero e di corde, otto uomini sono saliti a bordo della nave e hanno circondato gli attivisti, spingendoli sul ponte. Alcuni membri dell’equipaggio, che sono riusciti a chiudersi a chiave nella sala radio, poi scoperti e anch’essi catturati, hanno riferito di aver visto gli altri attivisti costretti a inginocchiarsi con pistole puntate contro di loro; dopo l’assalto, l’Artic Sunrise, scortata dalla Guardia Costiera Russa, è stata diretta a ovest verso le acque territoriali russe, e più precisamente a Murmansk, sotto la stretta custodia delle autorità russe, con a bordo tutti gli attivisti trattenuti senza un’accusa formale. A bordo del rompighiaccio si trovava anche un’attivista italiano, Cristian D’Alessandro, napoletano, entrato a far parte dell’equipaggio internazionale delle navi di Greenpeace a inizio 2013, dopo vari anni di volontariato nel Gruppo Locale di Napoli. Di forte impatto è la dichiarazione del Direttore esecutivo di Greenpeace Italia, Giuseppe Onufrio, il quale ha affermato che “evidentemente, in nome del petrolio, si possono commettere le peggiori atrocità”. Il 24 Settembre emerge una dichiarazione secondo cui il Northwestern Federal District Investigations Directorate abbia aperto un’indagine sulla possibilità del reato di pirateria ma – al contrario di quanto riportano i media – non c’è conferma sul fatto che l’equipaggio sia stato accusato di pirateria; tale accusa smuove non solo il direttore esecutivo di Greenpeace Kumi Naidoo, il quale afferma che “quando i governi del mondo non rispondono agli avvertimenti della scienza sulle conseguenze del cambiamento climatico, nell’Artico e altrove, le proteste pacifiche sono cruciali”, ma l’intera opinione pubblica. In particolar modo l’esperto di diritto internazionale Prof. Stefan Kirchner pubblica online una dichiarazione: “Etichettare atti diversi dalla pirateria come pirateria può danneggiare gli sforzi internazionali anti-pirateria. Tutti gli Stati dovrebbero astenersi dall’utilizzo di termini che si riferiscano ad atti che non equivalgono a pirateria”.
A tali dichiarazioni, in data 25 Settembre, rispose immediatamente la controparte russa, nella figura di Putin in persona. Il Presidente russo, intervenuto al forum sull’Artico a Salekhard, ha affermato che i trenta attivisti di Greenpeace, in stato di fermo in Russia per la protesta contro la trivellazione in Artico, “ovviamente non sono pirati” ma avrebbero violato la legge internazionale.
Tali dichiarazioni risultato ancor più strane, apparendo di facciata, allorché in data 27 Settembre il tribunale di Munmarsk, in Russia, ha ordinato due mesi di custodia cautelare per attivisti e membri dell’equipaggio dell’Arctic Sunrise – tra cui il napoletano Cristian D’Alessandro – in attesa dell’esito delle indagini sul reato di pirateria. Nelle giornate del 2 e 3 Ottobre, infine, l’accusa è confermata per tutti i trenta attivisti.
Tra il 4 e il 7 Ottobre in ogni parte del mondo si svolgono tre giorni di mobilitazione promossi da Greenpeace, a cui hanno aderito 135 città in quarantacinque Paesi, dalla Nuova Zelanda al Messico, dalla Thailandia alla Norvegia. A Napoli, città natale di Cristian D’Alessandro, viene srotolato un enorme striscione sul castello del Maschio Angioino che recita “Liberate Cristan. #FreeTheArctic30”. A chiedere la liberazione degli attivisti, si aggiungono le circa 800mila persone nel mondo, tra cui il Nobel per la pace Adolfo Pérez Esquivel, l’attore Ewan McGregor e organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch.
In data 14 Ottobre, dopo ventisei giorni di detenzione in condizioni tutt’altro che adeguate, è scattata l’udienza per discutere del capo d’accusa che pende sui trenta attivisti: pirateria, in base alla violazione dell’articolo 227 del Codice penale russo; gli avvocati italiani, che hanno chiesto per i trenta la scarcerazione su cauzione, hanno visto respingere su tutti i fronti i loro ricorsi. I loro assistiti rischiano fino a quindici anni di carcere e vengono costretti sotto la custodia russa fino al 24 Novembre.
Nella giornata del 23 Ottobre emerge la notizia secondo cui la Russia non avrebbe accettato la procedura di arbitrato nel caso contro Greenpeace e gli attivisti della “Artic Sunrise” e non parteciperà a un procedimento dinanzi a un tribunale internazionale. Il “Niet” emanato dal Ministro degli Affari Esteri russo viene reso noto tramite una fonte proveniente dal ministero stesso. Il tutto dopo che l’Olanda avrebbe chiesto al Tribunale internazionale del diritto del mare, con sede ad Amburgo, di ordinare alla Russia di rilasciare gli attivisti di Greenpeace che si trovavano a bordo della nave Artic Sunrise; “allo stesso tempo, la Russia, rimane aperta ad una soluzione della situazione” ha proseguito la fonte del Ministero russo.
La situazione sembrava aver raggiunto un punto di stallo, ma appena ventiquattr’ore dopo, nella giornata del 24 Ottobre, Greenpeace comunica che la Russia ha ritirato l’accusa di pirateria. Tale accusa viene convertita, infatti, nel reato di “teppismo” che prevede circa sette anni di reclusione, una pena dimezzata rispetto a quella precedente di pirateria. Di consuetudine il vandalismo viene punito con circa quindici giorni in carcere, pena apparentemente già scontata dai presunti attivisti colpevoli che hanno passato in cella trentacinque giorni, eppure la scarcerazione non avviene.
Stamane, a Roma, durante una conferenza stampa convocata da Greenpeace Italia, l’associazione ambientalista e Aristide D’Alessandro, padre di Cristian, chiedono al presidente del Consiglio Enrico Letta di spingere affinché gli attivisti vengano rilasciati. “Leggendo l’articolo del codice penale russo – spiega Aristide D’Alessandro – ci sembra che l’accusa continui ad essere ampiamente sproporzionata. Ci auguriamo che le autorità vogliano riconsiderare la decisione di negare la libertà su cauzione a Cristian e ai suoi compagni”. E aggiunge “In questo momento ci sembra importante tenere alta l’attenzione sulla vicenda, dato che la situazione rimane grave”.