di Marco Chiappetta
TRAMA: A seguito dell’impatto con alcuni rifiuti spaziali, l’astronave della NASA “Space Shuttle” va in panne e perde i contatti con la Terra: i due superstiti, l’ingegnere biomedico (Sandra Bullock) e l’astronauta Matt Kowalski (George Clooney), vagano nell’infinito dello spazio e poi si separano. Sola e inesperta, Ryan intraprende una disperata disavventura per tornare sulla Terra, cercando di servirsi delle piattaforme russe e cinesi, in un’incredibile lotta per la sopravvivenza, con se stessa e l’universo.
GIUDIZIO: Frutto del lavoro di quattro anni e mezzo, serviti soprattutto alla creazione delle strumentazioni tecniche necessarie, “Gravity” è una vetta del cinema fantascientifico e uno degli esempi migliori delle possibilità non solo spettacolari, ma narrative, poetiche, del 3D, usato con maniacale perfezionismo. Sintesi di cinema hollywoodiano mainstream e cinema d’autore, il film di Alfonso Cuaròn ha il pregio e l’originalità di aver raccontato lo spazio come un poema interiore, intimista, che interroga sul ruolo dell’uomo nell’universo, sul mistero e la bellezza di questo, e sul tema, davvero universale, della solitudine. Il ritmo lento, cadenzato, tuttavia pronto a improvvisi cambi di tono, ne fa un film plastico e contemplativo, un’esperienza bellissima che trascende il genere e l’arte visiva, e a cui lasciarsi andare, sospesi nell’incredulità e nella meraviglia. Non è ancora, come pure James Cameron e molta critica ha sostenuto, il miglior film sullo spazio mai fatto (Kubrick è ancora troppo grande), ma è l’unico ad averlo rappresentato con realismo e precisione documentaria, raccontandolo e descrivendolo anche nei suoi tempi morti, carpendone a suo modo la solitudine e la tristezza. Le lacrime in 3D della Bullock che si propagano nella sala, così come il piano-sequenza iniziale, sono la riprova della magia inestinguibile del cinema.
VOTO: 3,5/5