di Gianmarco Botti
Un anno dopo il primo dibattito fra aspiranti premier dello schieramento di centrosinistra, il confronto tv appare prassi consolidata dalle parti del Pd. La sede è la stessa, gli studi di X-Factor. Il moderatore, Gianluca Semprini di Sky TG24, anche. Perfino fra i competitors ce n’è uno, Matteo Renzi, che non è nuovo a questo genere di format, avendo partecipato alla fine del 2012 al primo confronto a cinque e a quello a due che seguì, in vista del ballottaggio con Pierluigi Bersani. Tuttavia in un anno, forse il più lungo e turbolento che la Seconda Repubblica ricordi (per alcuni addirittura quello che ha sancito il passaggio alla Terza), molte cose sono cambiate. È diverso il contesto, innanzitutto. L’anno scorso di questi tempi la sinistra marciava con passo trionfale verso elezioni politiche che considerava già vinte, e la battaglia delle primarie segnò il momento di maggiore entusiasmo e partecipazione, in cui si inserì, appunto, anche l’idea di un confronto tv all’americana, novità assoluta per l’Italia e specialmente per una parte politica che al mezzo televisivo ha sempre guardato con qualche sospetto. Questa volta il dibattito è apparso quasi una necessità per una sinistra che non guarda alle elezioni, impegnata com’è nel sostenere fra mille difficoltà il governo di Enrico Letta, ma ha profondo bisogno di ricostruirsi al proprio interno, dando spazio alle molteplici voci che i fatti “traumatici” di quest’anno politico (dalla mancata elezione di Prodi al Quirinale alla nascita del governo di larghe intese, oggi meno larghe, con la destra) hanno portato davanti all’opinione pubblica. Quelle dell’anno scorso erano primarie di coalizione, cui presero parte anche leader di partiti più piccoli dell’orbita del centrosinistra (Nichi Vendola per SEL e Bruno Tabacci per Centro Democratico), finalizzate alla scelta del candidato dei progressisti al governo del Paese. Oggi la contesa è tutta interna al Partito Democratico, che è chiamato a scegliere il suo nuovo segretario dopo la fine ingloriosa dell’era Bersani e la breve stagione del “traghettatore” Epifani; si tratta di primarie solo in senso lato, di vere e proprie primarie si parlerà quando le elezioni appariranno più vicine e il Pd avrà sciolto tutti i nodi circa il rapporto che intende istituire fra la figura del segretario e quella del candidato premier. Diverso, rispetto al 2012, è il momento politico, differente la natura della competizione in corso. Ma la novità di queste primarie non si esaurisce certamente qui, e chi ha visto il dibattito di ieri sera non ha potuto non rendersene conto.
Nuovi, nel senso più pregnante del termine, sono i tre candidati. Il più “vecchio” in termini politico-mediatici è Matteo Renzi, lo sconfitto dell’anno scorso, protagonista della discussione pubblica italiana ormai da più di una stagione, eppure sempre nuovo, una promessa ancora da realizzare perché in attesa che arrivi il suo turno, che questa volta potrebbe arrivare davvero. All’anagrafe il più vecchio è Gianni Cuperlo, e nel tempo della post-rottamazione, questo dato non può passare inosservato: Cuperlo è nato infatti nel 1961, ha appena cinquantadue anni, e non appartiene quindi alla ricca generazione degli anni ’50 che fino ad oggi, da Bersani a Bindi, da Veltroni a Franceschini, ha rifornito la classe dirigente del partito con pochissime eccezioni (forse addirittura una sola, l’attuale premier Letta). Anche in politica Cuperlo può dirsi relativamente nuovo, in quanto, pur essendo attivo nelle file della sinistra fin dalla militanza giovanile nella Figc, si affaccia oggi per la prima volta alla ribalta nazionale. Pure le sue idee, accusate da più parti di essere vecchie perché in sostanziale continuità con quelle della dirigenza storica della sinistra, contengono diversi elementi di novità, soprattutto sul piano del linguaggio ma anche dei contenuti, come può vedere chi legga il suo documento congressuale. E se il “più giovane dei vecchi” è meno vecchio di quanto si pensi, giovanissimo in termini sia anagrafici che politici è il terzo contendente, Pippo Civati. Trentotto anni (come Renzi), fino al 2013 consigliere regionale in Lombardia, è oggi alla prima legislatura in Parlamento in cui è diventato il riferimento di una piattaforma variegata e assolutamente inedita di piddini scontenti e non piddini che a un Pd guidato da lui guarderebbero con interesse. Un democratico “irregolare”, solidamente posizionato “dentro” eppure sempre pronto ad incursioni “fuori”, che non a caso al termine del dibattito di ieri sera ha inserito nel suo pantheon di modelli ideali il fresco sindaco di New York, Bill De Blasio, quello più a sinistra fra i democratici americani.
Se le primarie del 2012 presentavano dunque, non senza qualche semplificazione, una sfida fra vecchio e nuovo, quelle di oggi vedono in campo tre diverse concezioni del nuovo, tre leader giovani e diversamente innovativi, ciascuno dei quali può dare il proprio contributo a quel nuovo Pd che, dopo i disastri di quest’anno, il congresso si propone di battezzare. Un partito leggero, post-ideologico, orgoglioso più del proprio futuro che del proprio passato, modellato sulle esperienze di Blair in Gran Bretagna e Clinton e Obama negli USA, quello che ha in mente Renzi; un Pd come memoria storica della sinistra italiana e insieme frutto maturo della socialdemocrazia europea, nella visione di Cuperlo; una formazione movimentista aperta alla società, del tutto nuova e insieme orgogliosa delle proprie radici uliviste, quella per cui si batte Civati. È troppo presto per dire quale delle tre idee trionferà nel voto dell’8 dicembre e quali reciproche contaminazioni potranno avere luogo, in un partito che per il proprio DNA resterà sempre un collettivo e mai si trasformerà in realtà monolitica, proprietà del leader.
Pagelle
Nelle pagelle scolastiche al voto corrisponde quasi sempre un giudizio. In quelle che seguono invece il voto mancherà (si danno già troppi numeri in giro per il Web), ma ci sarà il giudizio, un aggettivo che qualifichi il candidato a partire da qualcosa che ha detto durante il confronto tv. La scelta è a discrezione di chi scrive e risponde al suo personale sentire, quindi è assolutamente soggettiva.
Matteo Renzi: CORAGGIOSO
Ci vuole coraggio per candidarsi a segretario del più grande partito progressista italiano e definirsi in diretta tv “timidi” sui diritti civili. Nel Pd di Matteo Renzi non c’è posto per le “certezze assolute” ma solo per la libertà di coscienza, non c’è posto per il laicismo ma solo per la laicità. Si dirà che Obama, più volte richiamato da Renzi come suo modello politico, è a favore dei matrimoni gay. Ma non si può dimenticare che il Partito Democratico USA, come partito “liquido” e post-ideologico, non ha una posizione unitaria in materia, vincolante per tutti gli iscritti. Perché la sinistra, quella vera, è sempre “problematica” e plurale.
Gianni Cuperlo: SERIO
Bisogna essere molto seri per non farsi trasportare dalla diffusa euforia presidenzialista che tiene banco di questi tempi. Va bene riferirsi agli Stati Uniti e alle grandi democrazie occidentali a modello presidenziale, ma chi conosce la storia d’Italia, sia quella recente che quella meno recente, non può non nutrire qualche perplessità su un’eventuale innesto di tale sistema nel nostro tessuto sociale e politico. Si ripete spesso che la costituzione non è un moloch intoccabile, ed è vero. Ma non si dimentichi che Moloch era il nome di un mostro mitologico a cui si tributavano sacrifici e che noi qui di mostri ne abbiamo conosciuti più d’uno, di sacrifici ne abbiamo fatti tanti.
Pippo Civati: APPASSIONATO
La passione, l’emotività hanno un posto d’onore nell’universo della comunicazione politica ed è merce rara un politico che sappia parlare al cuore senza scendere giù fino alla pancia. Ancora più difficile è trovare un politico giovane e appassionato che nella sua rincorsa (appassionata, appunto) del futuro non butti all’aria il passato. Le emozioni maggiori Civati le suscita quando rivendica con orgoglio le radici del Pd, si richiama al progetto dell’Ulivo e rievoca la figura nobile di Romano Prodi. Di grande impatto emotivo la promessa di una caccia senza quartiere ai 101 traditori: è il Crudelio DeMon (buono) della sinistra.