di Gennaro Di Domenico
Nel dossier dello scorso Ottobre, titolato “Licenza di uccidere”, Greenpeace ha testimoniato come la produzione di olio di palma stia causando l’estinzione delle tigri nelle foreste di Sumatra, in Indonesia.
Si stima che nel suddetto territorio restino soltanto 400 esemplari. Le foreste, infatti, stanno scomparendo in maniera rapida: circa 250 mila ettari l’anno. La principale causa di ciò è dovuta proprio all’espansione delle piantagioni di palma da olio e di alberi per produrre polpa di cellulosa. Un’espansione che non rispetta gli impegni che si è posto il governo indonesiano per fermare la deforestazione.
Greenpeace riconosce che l’olio di palma è una materia prima molto importante, ma la sua produzione ha, ad oggi, dei costi ingiustificabili, traducendosi nella distruzione di interi ecosistemi. Recenti indagini condotte dall’associazione ambientalista, infatti, hanno rivelato come diverse aziende, tra queste Colgate Palmolive, Mondelez International (in passato Kraft), Neste Oil, Procter & Gamble e Reckitt Benckiser siano collegate a Wilmar International, una multinazionale coinvolta nel commercio di olio di palma di provenienza controversa e considerata il più grande trasformatore di olio di palma al mondo; sebbene l’azienda abbia intrapreso un percorso di protezione per le foreste ad alto valore di conservazione (HCV – high conservation value) e le foreste torbiere nelle proprie concessioni, queste sono solo una piccola parte delle aree destinate alla produzione dell’olio di palma che la Wilmar commercializza e trasforma. La multinazionale, infatti, possiede una partecipazione significativa (o ha rapporti commerciali) con gran parte dei produttori di olio di palma. Produttori che Greenpeace considera coinvolti in attività irresponsabili o, addirittura, illegali.
La scomparsa delle foreste. Dal 2009 al 2011 il tasso di perdita forestale in Indonesia è stato di 620 mila ettari l’anno, il 40% del quale ha avuto luogo nell’isola di Sumatra e principalmente nella sola provincia di Riau, dove si è raggiunto 1/5 della deforestazione totale. Le foreste torbiere, una volta tagliate a raso e drenate, emettono enormi quantità di CO2, lentamente attraverso la decomposizione del carbonio che costituisce la torba o molto velocemente attraverso l’incendio, sia accidentale che intenzionale o doloso. Il fumo proveniente dagli intensi incendi che hanno avuto luogo a Sumatra nel giugno 2013 è arrivato a intossicare l’aria fino in Tailandia, causando gravi disagi anche per la salute delle popolazioni locali e dei Paesi vicini oltre che per il clima a livello globale. La distruzione delle foreste provoca la frammentazione dell’habitat della tigre, di cui ormai è stato distrutto il 90%, che necessita di un ampio territorio per cacciare. Inoltre, la maggiore vicinanza agli esseri umani rende l’animale più vulnerabile al bracconaggio e suscettibile di attacchi. I ricercatori sostengono che evitare questa frammentazione, dando continuità all’habitat della tigre, sia fondamentale per la sopravvivenza della specie.
Le piantagioni industriali di olio di palma. La perdita di quasi 2/3 dell’habitat totale della tigre di Sumatra dal 2009 al 2011 è stata causata dal settore delle piantagioni industriali per far spazio alle proprie concessioni. Il solo olio di palma è responsabile per il 15% della perdita dell’habitat totale della tigre. Secondo i dati del governo indonesiano, l’85% delle emissioni di gas serra del Paese ha origine dal cambiamento dell’uso dei suoli, principalmente a causa della deforestazione per le piantagioni industriali. Di questo 85% la metà viene dalla distruzione delle torbiere; persino il famoso parco nazionale Tesso Nilo è stato frammentato dalla deforestazione per la produzione di olio di palma dal momento che le aree sono protette solo sulla carta. Due delle quattro aziende che attualmente operano in concessioni dove sono stati riscontrati fenomeni di distruzione dell’habitat della tigre fanno parte della Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile (Roundtable on Sustainable Palm Oil – RSPO, un’associazione fondata volontariamente nel 2004 da produttori, trasformatori e rivenditori di olio di palma, aziende che producono beni di consumo e altre organizzazioni con l’obiettivo di promuovere l’utilizzo di olio di palma sostenibile).
Gruppo Wilmar. Wilmar International, la multinazionale con base a Singapore, membro della RSPO, sostiene di essere il più grande trasformatore e rivenditore di olio di palma al mondo, con una quota di mercato a livello globale del 35%. Nel 2012 ha trasformato il 3,5% di olio di palma crudo (CPO) a livello globale, la metà del quale proveniva da produttori terzi. Tuttavia gran parte del fatturato dell’azienda deriva dalle raffinerie di olio di palma e dalla produzione di grassi e sostanze oleochimiche usate nei prodotti alimentari, casalinghi e biocarburanti di tutto il mondo. Meno del 4% del CPO che Wilmar raffina ha origine nelle proprie piantagioni, la maggior parte proviene da produttori terzi. Sebbene Wilmar si sia impegnato a rispettare le foreste torbiere e HCV e a non utilizzare la pratica dell’incendio nelle proprie concessioni, Greenpeace ha documentato il taglio a raso dell’habitat della tigre (e HCV) in un’area all’interno di una concessione appartenente alla multinazionale a Jambi, nell’isola di Sumatra. Secondo la RSPO, di cui Wilmar è membro, ha violato i Principi e Criteri e il Codice Etico dell’organizzazione; l’azienda, inoltre, non ha imposto ai propri fornitori di applicare le stesse politiche ambientali e sociali: è il caso di Ganda Group e Surya Dumai, coinvolti nei recenti incendi a Riau, e del Bumitama, che ha distrutto diverse aree dell’habitat dell’orango a Kalimantan, e ha acquisito di recente una concessione all’interno del famoso parco nazionale Tanjung Puting. Lo stesso Wilmar continua ad acquistare olio di palma dalla deforestazione all’interno del parco nazionale Tesso Nilo.
Oranghi a rischio. Nelle regioni di Sumatra e Kalimantan, in Indonesia, anche gli oranghi oggi sono tra le specie minacciate dalla deforestazione. Il piano di azione intrapreso dal governo per proteggere l’orango è molto più sviluppato di quello per la tigre di Sumatra, tuttavia non vi è alcuna volontà politica di metterlo in pratica nel momento di pianificare l’uso del suolo o di concedere le licenze. Gran parte dell’habitat dell’orango si trova attualmente all’interno di concessioni per l’olio di palma.
L’olio di palma certificato RSPO continua a coinvolgere i membri del CGF in fenomeni di deforestazione. Il Consumer Goods Forum (CGF) è una rete globale dell’industria dei beni di consumo che comprende oltre 400 produttori e rivenditori. Nel 2010 tutti i membri si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo “Deforestazione Zero” entro il 2020, incentrato sul controllo delle proprie filiere di approvvigionamento forestale, compresa quella dell’olio di palma. In quel caso, il CGF si basa sulla certificazione RSPO per raggiungere questo obiettivo. Greenpeace ha richiesto a più di 250 aziende che utilizzano olio di palma, molte di queste membri del CGF, come intendono evitare l’olio di palma controverso nelle loro filiere e gran parte di quelle che hanno risposto continuano ad affidarsi alla certificazione RSPO; poiché gli standard della RSPO non vietano la deforestazione e la conversione delle torbiere in piantagioni, non sono sufficienti a garantire che l’olio di palma certificato non abbia origine nella distruzione delle foreste. Le indagini di Greenpeace rivelano come i produttori di olio di palma certificato RSPO siano coinvolti nella distruzione dell’habitat della tigre e i recenti incendi in Indonesia.
“Complici della distruzione”. Il settore dell’olio di palma e le aziende che lo utilizzano per produrre beni di consumo devono agire per fermare la deforestazione che coinvolge questa materia prima. Greenpeace chiede ai governi e ai consumatori di dimostrare che non saranno più “complici di questa distruzione”. L’associazione richiede ai produttori di fermare le attività distruttive delle foreste indonesiane, habitat della tigre di Sumatra, e ai rivenditori di interrompere i rapporti commerciali con chi è implicato in questi fenomeni; tali aziende che producono beni di consumo finale dovranno garantire che le loro filiere non sono contaminate. Intanto, Greenpeace ha lanciato un appello al governo dell’Indonesia per aumentare la protezione dell’habitat della tigre di Sumatra.