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La Croazia dice no alle nozze gay tramite referendum. Milanović: “Manifestazione di omofobia”

CROATIA-EU-ENLARGE-REFERENDUMdi Stefano Santos

La questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è diventata terreno di dibattito e scontro dialettico istituzionalizzato solo a partire dal 2001, quando i Paesi Bassi furono la prima nazione al mondo a legalizzare e parificare il matrimonio omosessuale rispetto a quello tradizionale. Si prospettarono così nuove speranze per le associazioni per i diritti LGBT e l’opinione pubblica progressista; e tuttavia, nuovi timori per il mondo legato alle istituzioni religiose e alla forza vincolante della tradizione.

A partire da allora, soprattutto in Europa, si è delineata nel corso nel tempo una divisione geografica riguardante la legislazione del “same-sex marriage“: un ovest ormai aperto, seppur con molte difficoltà, in maniera generalizzata almeno nel campo delle unioni civili – con l’esemplare eccezione dell’Italia, che ha preferito non pronunciarsi direttamente sulla questione – e un est in cui vi è la definizione perentoria del matrimonio come tra uomo e donna fissata a livello costituzionale. In tempi non sospetti, cioè in epoca post-socialista, nel caso di Lituania, Bielorussia, Ucraina e Polonia, oppure come legislazione di “reazione” nei casi di Lettonia, Montenegro, Ungheria, a cui pochi giorni fa, il 1° dicembre 2013, si  aggiunta la Croazia, il più giovane stato membro dell’Unione Europea. Con referendum consultivo – il terzo organizzato nel paese dopo quello per l’indipendenza del paese e per l’ingresso nell’Ue – due terzi dei votanti ha risposto affermativamente alla questione se dovesse entrare nella Costituzione una disposizione che definisse il matrimonio come unione per tutta la vita tra un uomo e una donna, pur a fronte di una bassa percentuale degli elettori (38%), ininfluente sull’esito, il che non ha mancato di sollevare dubbi sulla effettiva rappresentatività della consultazione, la quale rappresenta un’importante vittoria della Chiesa Cattolica, principale sostenitrice dell’iniziativa, qui coadiuvata dalla vicina Chiesa ortodossa serba, e dell’organizzazione che meglio ha saputo focalizzare l’attenzione sulla questione, U ime obitelji, “In Nome della Famiglia”. Guidata dall’imprenditrice Zeljka Markić, essa si è mossa soprattutto osservando quanto accadeva in Francia, che in maggio approvava la legge sui matrimoni omosessuali, per “per prevenire che lo stesso accada anche in Croazia”, con uno straordinario successo di adesioni, con 700 mila firme raccolte, quasi il doppio del requisito richiesto di 450mila. Contro il referendum si è mosso il governo di coalizione di centro-sinistra guidato da Zoran Milanović, che lo ha definito “triste e inutile”, il presidente Ivo Josipović, il mondo accademico e i media, che hanno cercato di boicottare il referendum negandogli gli spazi pubblicitari e denunciando i fautori di scarsa trasparenza.

Zeljka Markić, alla guida dell'organizzazione “In Nome della Famiglia”

Zeljka Markić, alla guida dell’organizzazione
“In Nome della Famiglia”

Pur nella grande pregnanza che ha assunto l’evento, non sembra però aver quel carattere di definitività perentoria che in un primo momento gli si potrebbe dare. Oltre alla già manifestata ostilità del governo, che ha annunciato di voler continuare nel suo progetto di apertura progressiva della posizione giuridica delle coppie omosessuali, non è da dimenticare che la Croazia è entrata nell’Unione Europea, e dunque recepisce gli orientamenti espressi nella Carta di Nizza (dei diritti fondamentali dell’UE) sul divieto di discriminazione: “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.” Un dato già rilevato dalla Corte Costituzionale croata quando venne chiamata a pronunciarsi sulla questione, lasciando intendere che eventuali future legislazioni non saranno depresse da questa novella, dando così seguito alle affermazioni di Milanović.