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“I sogni segreti di Walter Mitty”: il cinema come viaggio e sogno

i sogni segreti di walter mittydi Marco Chiappetta

TRAMA: Walter Mitty (Ben Stiller), responsabile dell’archivio fotografico del magazine Life, destinato alla chiusura e a una nuova vita online, rischia il posto quando non trova lo scatto che il misterioso fotografo Sean O’ Connell (Sean Penn) ha realizzato per l’ultima copertina. Distratto e sognatore, con la testa tra le nuvole in un mondo di sogni che lo riscatta dalle frustrazioni di una vita noiosa, decide su consiglio della collega Cheryl (Kristen Wiig), di cui è innamorato, di andare alla ricerca dell’introvabile Sean per recuperare il negativo. In un viaggio che lo porta a vivere incredibili avventure prima in Groenlandia e Islanda, poi in Afghanistan, Walter conoscerà soprattutto molte cose di se stesso, il suo valore troppo spesso sottovalutato e umiliato.
GIUDIZIO: Quinto film da regista di Ben Stiller, il più ambizioso (costo: 90 milioni di dollari) e il più intelligente, mette al servizio della sua tipica vena comica, goffa e naïf, sobria anche se non di rado demenziale, inediti retrogusti amari e sprazzi di poesia sorprendenti. Il rapporto con “Sogni proibiti”, il film del 1947 con Danny Kaye a cui si rifà, non è quello di un remake, ma di una rivisitazione attuale, più malinconica ancora, del personaggio di Walter Mitty, nato dalla penna di James Thurber e diventato iconico nel linguaggio americano, emblema dell’uomo comune, sognatore a occhi aperti, che combatte la monotonia e le sconfitte della vita con la fantasia e l’arte del sogno. Oltre le belle sequenze spettacolari e i paesaggi mozzafiato teatri delle disavventure dell’eroe, oltre l’inverosimiglianza accettata di buon grado e agli effetti speciali digitali notevoli, è un’autentica, sincera riflessione sull’individuo nella massificata società odierna, americana e non, e sul potere dei sogni, dello spirito infantile, in un mondo che non tollera fughe dalla ragione e dal profitto. La regia è curata, dinamica, plastica anche: Ben Stiller si inquadra spesso dall’alto, piccolo e inutile, in un mondo di grattacieli, montagne e spocchiosi colletti bianchi. Surreale e visionario, con un cuore enorme, un’ironia fine e una gentilezza che passa attraverso il volto dello stesso Stiller, carismatico e magnetico come pochi comici (e così diverso dall’aplomb pur mitico di Danny Kaye), è un “feel-good movie” dolce e attraente, in cui, come nelle migliori commedie americane di un tempo, il finale è lieto, ma fino a un certo punto: i cattivi non pagano mai veramente, e agli eroi non resta che accontentarsi delle piccole gioie semplici della vita, sogni compresi.
VOTO: 3,5/5