di Marco Chiappetta
TRAMA: 2003 – Philomena Lee (Judi Dench), anziana e fervente cattolica irlandese, da cinquant’anni alla ricerca del figlio Anthony, strappatole bambino dalle suore del convento di Roscrea e venduto a una famiglia benestante, racconta la sua tragica storia al giornalista inglese Martin Sixsmith (Steve Coogan), cinico e depresso, che vi vede una chance di rilancio professionale, e la accompagna in un viaggio dall’Irlanda a Washington, in cui, oltre a venire a galla un’amara verità, le differenze estreme dei due si dissolvono a poco alla volta in un rapporto umano caldo ed empatico.
GIUDIZIO: Tratto da una storia vera, raccontata dal vero giornalista Martin Sixsmith nel libro “The Lost Child of Philomena Lee” (edito da Piemme), il film di Stephen Frears è un connubio armonioso di pathos e ironia, bilanciate da una sceneggiatura delicata (premiata a Venezia, e scritta dallo stesso Steve Coogan con Jeff Pope) e da due attori superbi, così diversi, così lontani, come i loro personaggi, uniti per diversi motivi da un bisogno di verità e di risposte. Il british touch, che ora commuove, ora diverte, è così delicato e sottile, così sottotono e gentile, che l’emozione è inevitabile, ricercata, ottenuta con furbizia forse, ma necessaria. Nel raccontare un episodio terribile e atroce, uno dei tanti scandali taciuti della Chiesa cattolica, il film non risparmia colpi – e perché dovrebbe? – verso il clero ottuso e malvagio, ma neanche verso una stampa opportunista che si serve dell’altrui vita vera, vissuta, sofferta, solo per stampare più copie (è il caso dell’editore del giornale di Martin). Delle vite dei due protagonisti sappiamo poco e nulla, se non questa vicenda che ora li lega: e in questa inchiesta, alimentata con ritmo da thriller in un montaggio sapiente che mischia al presente struggenti filmini in Super8 del figlio scomparso, la verità brucia e l’ingiustizia fa male, ma oltre l’intoccabile invisibile muro che lega i vivi ai morti, è l’umanità, la dignità che trionfa. Discutibile o meno, la scelta del perdono, virtù e vizio di ogni cattolico, è giusta e coerente per la protagonista, buonissima e buonista, ma è forse nelle parole sprezzanti e giudicanti del giornalista, ateo e cinico fino al midollo, che bisogna leggere il significato di questo film, che rifiuta di essere un dinamitardo polemico, che non alza troppo la voce, che mostra e tace con ugual discrezione. “Philomena” forse non ha ancora lo statuto del capolavoro, ma ha quella grazia e quella magia emotiva del grande cinema, ancor più grande quando racconta storie vere. Firma la colonna sonora Alexandre Desplat, inconfondibile.
VOTO: 3,5/5