di Mattia Papa
L’ascesa di Renzi sul podio più alto del Partito Democratico ha creato non poco scompiglio nel Belpaese. In passato il sindaco di Firenze è parso a molti come una speranza, altri lo hanno denigrato e così combattutto. Altri semplicemente si sono espressi senza troppa enfasi, sperando che lasciando cadere l’ascesa del fiorentino, questa si potesse tramutare in un classico fenomeno mediatico di passaggio. E invece.
Invece Matteo Renzi, dal passato di militante del PPI e poi della Margherita, dopo aver partecipato alle ennesime primarie rappresentando (siamo onesti) la parte populista e destrorsa (ossia il centrismo cristiano-populista che solo per pudore si dice di sinistra) tra i tre candidati, ora è segretario del maggior partito di centrosinistra del Paese. In meno di due mesi dalla sua vittoria ha cambiato tutte le carte in tavola e, come spesso si è detto (gliene si deve dare atto) nei vari dibattiti televisivi e suoi giornali, si sta giocando il tutto per tutto in un braccio di ferro con il compagno di partito Letta per l’attuazione di alcuni necessari provvedimenti che puntano non solo più al mero soddisfacimento delle richieste dell’Ue per la stasi e il basso valore dello spread, bensì riforme costituzionali (per cui l’attuale governo in carica è nato dopo il pareggio elettorale) che scuotano lo stato dormiente dell’Italia. Non solo. Leggi sul lavoro, rilancio dell’economia e dare un volto nuovo alla sinistra italiana: uno di destra, magari.
Il sistema politico italiano è comunque destrorso ormai da decenni; non esiste più una vera e propria sinistra. E quando c’era, forti si facevano sentire i dissidi ideologici tra il dentro e fuori il Parlamento, dentro e fuori il Partito. Tempi passati, momenti storici diversi. Il mondo intero – non per cadere in banalità o semplificazioni – è destrorso ormai, poiché destrorso è il sistema che lo governa. Un sistema che fonda sul capitale e sul controllo biopolitico tutta la sua struttura, tendendo (così quanto a distruggerla secondo la vecchia e cara caduta tendenziale del saggio di profitto) a resistere ed essere ormai affermata in un’unica rete in cui la globalizzazione e l’economia mondiale regnano sovrane e sfuggono da qualunque tipo di controllo politico. È la politica, anzi, che cede verso essa per continuare a respirare.
Quindi perché meravigliarsi di Renzi e della sua carenza di ideologia (e purtroppo non di idee), della sua dedizione al dio Capitale, del suo asservimento alle nuove tendenze politiche e non, all’uso della tecnologia in stile adolescenziale (pericolosamente in diffusione presso ogni 40enne e 50enne)? È il mondo che così gira. Il centrosinistra italiano (almeno in questo) ha resistito più che altrove durante questi anni. E forse proprio per questo il Belpaese non è riuscito a stare al passo con i tempi: la sinistra resisteva. A dirlo, quasi vengono i brividi. Non di certo resisteva per un qualche valore particolare, bensì perché non ha saputo cogliere il nocciolo del populismo che serviva a fondare una sinistra populista, in un malriposto ricordo dei tempi che furono. Per fortuna che Matteo c’è. Ops!
Perché quindi meravigliarsi – consapevoli oltremodo di quanto il consenso della maggior parte degli italiani sia un consenso dato da una diffusione massmediatica neanche troppo complessa da costruire – dell’ascesa del fiorentino? È la consueta dinamica mondiale, dominata dall’apparenza, dallo sfuggire ai problemi, nascondersi dietro simboli fatti di carta.
Quale speranza riporre in Matteo Renzi e nel Pd? Quali speranze riporre lì dove la posizione più radicale del partito di centrosinistra italiano è rappresentata da Giuseppe Civati? È persino paradossale inserire il termine “radicale” nello stesso testo in cui si pronuncia il partito dei Dem. E se poi la tradizione di sinistra (ovvero quella degli ultimi vent’anni con vaghe presagi di uomini passati di ben altra taratura) era rappresentata da Cuperlo, è tutto dire.
Qui non si tratta di dover disquisire sul fatto se il Pd sia di destra o di sinistra, se mai la sinistra italiana da quarant’anni è stata davvero sinistra e così via. Qui si tratta al massimo di dividere in populismi di vario genere e di varia civiltà. Per il resto noi non siamo nient’altro che il futuro dell’Europa tra qualche decennio.
Se davvero si vogliono riporre speranze, bisogna allora forse porsi più in alto della dicotomia tipica della politica ossia destra/sinistra: ben altra è la divisione e molto più vecchia. Bisogna tornare indietro e rivedere le tendenze delle parti: conservatorismi e resistenze/rivoluzionarismi. Poiché all’interno del Sistema tutto è in perenne conservazione, anche lì dove si grida al cambiamento. È un cambiamento che nulla cambia, ma solo propone nuove facce della stessa identica cosa: il sistema stesso. Destra e sinistra sono solo diverse sfumature di uno stesso colore.
Per dirlo in un altro modo: “I filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo; si tratta di trasformarlo”. Ma perché trasformare se si può ritardare l’inevitabile? Il capitalismo è come il maiale: non si butta via nulla. Quindi, rosicare tutto fin quando si può. E tutti hanno rosicato fin quando si è potuto, senza distinzione.
Perché ora prendersela con Matteo Renzi, quindi? Anzi, è anche una versione meno pregiudicata giuridicamente. Populismo in atto 2.0. E forse con qualche buona intenzione in più.
Alle prossime elezioni, quindi, si scelga chi votare non in base al volto, bensì alla propria adesione più o meno ad un sistema. Nessuno biasimerà nessuno: qui tutti devono mangiare e prima o poi tutti – tutti – dobbiamo piegarci al sistema. Purtroppo. Chi non l’ha fatto, è morto. Quanto forte un’idea è nella nostra mente si misura attraverso il suo sottomettere anche l’istinto di sopravvivenza ad essa. Ma poi davvero ci dispiace? O ci lamentiamo senza motivo?
C’è la crisi, è vero. Ma non siamo mai noi quelli maggiormente colpiti, mai noi quelli che possono fare qualcosa, mai noi quelli che la sanno più lunga di quanto invece ci viene detto. Forse un po’ ci piace, perché siamo fatti così: finché c’è vita c’è speranza. E oggi la speranza la chiamiamo Matteo Renzi.