di Brando Improta
Comincia la settimana più chiacchierata della televisione italiana: la settimana del Festival di Sanremo. Al timone della 64esima edizione, ancora una volta, Fabio Fazio e Luciana Littizzetto. Posti gli ottimi risultati auditel dell’anno scorso la Rai ha deciso di replicare (nonostante le molte critiche), secondo il famoso detto che vuole immutata la squadra che vince.
Ma Fazio, direttore artistico anche quest’anno, si è preso molte libertà nella scelta dei cantanti – molti addirittura sconosciuti dal pubblico di massa – facendo venire meno il principale requisito di questo gigantesco macchinone spettacolare, ovvero la nazionalpopolarità.
O, almeno, così doveva essere nelle intenzioni del conduttore, perché i primi sette artisti ascoltati stasera hanno proposto melodie e tesi abusati, senza stupire granchè tranne, forse, che in un paio d’eccezioni.
La prima novità che balza all’occhio in questa prima serata è l’anteprima. Una copertina diretta e presentata da Pif, dal titolo “SanRemo e SanRomolo”. Nulla di eccezionale, niente di geniale, ma una semplice collezione di amenità, dal dubbio amletico del se si scrive Sanremo o San Remo e alla dovuta citazione di Mike Bongiorno attraverso la statua a lui dedicata.
Poi si accendono le luci sul palco: arriva Fazio e il sipario dietro di lui fa le bizze. Ma è poca cosa in confronto ai due operai (lavoratori dei consorzi del bacino di Napoli e Caserta) aspiranti suicidi che minacciano di buttarsi dall’alto di una trave per riflettori se il conduttore non legge la loro lettera di protesta contro lo stato italiano.
Il suicidio, per fortuna, non avviene e Fazio legge la lettera. È forte, però, il deja vù di quando un disoccupato minacciò di compiere lo stesso gesto al Festival del 1995, davanti agli occhi di un eroico Pippo Baudo. Dubbi, come allora, sulla verità dell’episodio ci sono, ma anche questo è Sanremo.
Poi arriva Luciano Ligabue. Superospite dicono. In onore, dicono, di Fabrizio De Andrè, che compirebbe 74 anni. Ma quello che ascoltiamo è una scialba riproposizione di Creuza de Ma, lenta e poco accattivante, accompagnata da Mauro Pagani e forse poco adatta allo stile del cantautore emiliano.
Dopo una riproposizione pressochè identica dello sketch della lettera a Sanremo da parte della Littizzetto, finalmente inizia la gara.
I primi sette cantanti della categoria Big, esibitisi stasera, sono stati: Arisa, Frankie Hi-Nrg, Raphael Gualazzi, Antonella Ruggiero, Cristiano De Andrè, I Perturbazione e Giusy Ferreri.
Arisa, un tempo artista dai toni vivaci e allegri, si è presentata con due canzoni noiose, pressochè dalla stessa melodia, in cui è risaltata sì la sua voce, ma su testi scialbi (uno dei quali, “Lentamente”, scritto da lei stessa, recita “Cade una mela dal ramo… e vivo!”) dallo scarso ritmo e dal grosso sapore di vecchio, per non dire incartapecorito. Insomma una Pippa non in grande forma. Passa il brano “Controvento”.
Gualazzi delude. Lui che ama le contaminazioni con il jazz e con il blues questa volta forse si spinge troppo oltre, alternando toni bassi ad altri improvvisamente troppo alti, dove la musica sovrasta la sua voce e il testo (a dire il vero, banale in entrambi i casi) diventa quasi incomprensibile. Con lui sul palco The Bloody Beetroots, un tizio che suona la chitarra vestito da moscone. Fazio dice che è famoso. Su Internet il popolo della rete nicchia sulla sua presenza. Giovedì saranno sul palco con la canzone “Liberi no”.
La Ruggiero, notevolmente gonfia, si presenta con due melodie (“Quando balliamo” e la votata “Da lontano”) nel suo stile, ovvero un po’ lamentose ma che tanto piacciono ai suoi fan di vecchia data, quindi nulla da eccepire, se non altro si è mantenuta sulla sua linea (ritmica).
La Ferreri, che a quanto si dice è stata afona per tutta la mattinata, fa sentire la potenza delle sue corde vocali ma le sfugge completamente il senso di poter portare due brani distinti. Sembra di sentire la stessa canzone per otto minuti, e la cosa non è affatto piacevole. In ogni caso, passa la giuria sceglie “Ti porto a cena con me”
Cristiano De Andrè, dopo l’omaggio a cotanto padre, decide di farlo letteralmente rivoltare nella tomba. C’è un motivo se ai suoi concerti ripete pedissequamente il repertorio di Fabrizio. La voce è uguale a quella del padre, calda e precisa, ma manca un testo degno e lo stile melodico dei due brani è più vicino ad Albano che all’autorialità che contraddistingueva la poesia fatta musica del suo predecessore. La canzone passata al televoto, “Il Cielo è Vuoto”, recita “Ed io mi aspetto molto da te”. Ecco, forse Fazio si aspettava troppo da De Andrè Jr.
In cotanto tripudio di mediocrità basta poco a Frankie Hi-Nrg e i Perturbazione per svettare. Il primo con un simpatico brano, “Pedala” quello passato al televoto, dal testo accattivante e dalle sonorità per lo meno allegre (e insolite per Sanremo, visto che parliamo di hip hop); i secondi con due brani uno migliore dell’altro (a passare il turno sarà poi “L’unica”) , tant’è che per un po’ la speranza è stata quella di poterli avere entrambi in finale, magari al posto di un’Arisa o di una Ferreri qualsiasi.
Insomma, Fazio credeva di aver costruito un Festival innovativo, giovane e rivoluzionario. Il problema è che i giovani hanno portato canzoni tradizionali mal concepite, i vecchi diventano sempre più vecchi e il rivoluzionario non è altro che minestra riscaldata. E pensare che fra gli esclusi si leggono nomi come Mietta, Alice, i Nomadi, Mango, Violante Placido, Nek, Alex Britti, Irene Grandi, Daniele Silvestri, Max Gazzè, Niccolò Fabi e Fausto Leali. Praticamente un parterre con il quale si potevano costruire altre due gare, probabilmente e almeno per il momento, migliori di questa.
Sul versante ospiti, al di là della comparsata iniziale di Ligabue, si inizia subito malissimo.
Una mal’invecchiata Laetitia Casta induce Fazio a vestirsi da ramarro, con una calzamaglia nera aderente (“Sembro Dorellik” dice il conduttore, ignorando la bellezza d’allora del buon Johnny Dorelli). Poi i due si trovano tete-a-tete in un’improvvisata cenetta romantica, interrotta dalla Littizzetto (gag stracotta) e infine si lanciano in una commemorazione di Enzo Jannacci, con il talentuoso figlio Paolo al pianoforte ma, ahimè, loro due al canto. Il brano scelto per l’omaggio è “Silvano”, scritto da Jannacci e reso celebre dalla coppia Cochi e Renato. Insomma, qualsiasi sia il confronto Fazio e la Casta ci perdono.
Dopo la Casta, che non perde l’occasione anche per fare pubblicità al film in cui è protagonista al cinema, arriva la Carrà. Lei si che ha energia da vendere, nonostante l’età anagrafica, e rivitalizza un Festival già in debito d’ossigeno, cantando (in playback) un suo nuovo brano e riuscendo anche a ballare, non come un tempo, ma sicuro come mai ci si aspetterebbe da una signora con 70 primavere sulle spalle.
Peccato che sia interrotta dalla solita Littizzetto (che spesso non la lascia neanche parlare e cerca di rubarle la scena) perché è una delle poche gioie della serata, nonché il primo omaggio ai 60 anni della televisione Rai (e quindi italiana) davvero riuscito.
A metà serata il contatto Twitter ufficiale di questa edizione sanremese annuncia tronfiamente che sono stati “superati i 300mila tweet”. Peccato siano tutti tra il negativo ed il sarcastico: “Date un po’ di bromuro e un gigolò alla Littizzetto”, “Ho bevuto tre birre mentre guardavo Sanremo, ora devo berne quattro per dimenticarlo”, “No alla donna oggetto. E alla Casta soprammobile cosa diciamo?”, “Il festival della pubblicità italiana” e “I due lavoratori si volevano buttare perché avevano già sentito le canzoni di stasera” sono solo alcuni fra i più fantasiosi (e meno volgari).
Eppure il momento che fa ancora credere in Sanremo come fabbrica di sogni ed emozioni c’è stato anche ieri sera: quando Yussuf Cat Stevens, con la sua classe e la sua bravura, è salito sul palco regalandoci tre perle di pura maestria musicale.
Il pubblico, al termine dei pezzi, non ha potuto far altro che alzarsi in piedi osannandolo in una standing ovation mentre lui, umilissimo, era impacciato nel ringraziare, facendoci anche dimenticare la lobby dell’industria discografica italiana e il divismo di alcuni big che ripudiano il Festival. Di Sanremo brutti nella storia della televisione ve ne sono stati, ma ognuno di essi ha il suo momento d’oro. Se quest’anno, forse, non molte cose rimarranno impresse, ma sicuramente resterà il ricordo di una leggenda della musica, proveniente direttamente dagli anni Settanta, a portare gioia e vitalità a noi spettatori distratti del nuovo millennio.
Domani, nella seconda serata, si esibiranno gli altri sette Big in gara: Ron, Renzo Rubino, Francesco Renga, Riccardo Sinigallia, Giuliano Palma, Noemi e Francesco Sarcina.
Inoltre, verranno eseguite quattro delle otto canzoni in gara per la categoria delle Nuove Proposte, in ordine di esibizione: Diodato, Filippo Graziani, Bianca e Zibba.
Gli ospiti attesi, salvo sorprese dell’ultima ora, sono: Francesco Totti, Claudio Santamaria, la leggenda Franca Valeri e, per il reparto musicale, Claudio Baglioni e Rufus Wainwright.
In poche parole, che piaccia o meno, Sanremo continua.