di Stefano Santos
Alla Sala Assoli del Teatro Nuovo di Napoli, uno dei più antichi della città a dispetto del nome, è stato messo in scena lo spettacolo “In.Corpo.Reo”, vincitore dell’E45 Napoli Fringe Festival 2013.
Diretto e coreografato dal talento emergente Francesco Colaleo, prodotto dalla Compagnia di Danza Körper di Gennaro Cimmino, lo spettacolo si è proposto come una performance di danza che si vuole allargare a comprendere caratteri propri del teatro, perdendo così una fisionomia classificabile in termini concisi e perentori: talvolta pare di assistere a un happening, mentre in altri momenti pare di essere testimoni di un monologo interiore e intimo, il tutto viene comunque espresso attraverso la danza.
La scenografia è scarna, segnalata da un “grappolo” di teste di bambole (fornite dall’Ospedale delle Bambole), posta in un angolo illuminato. Il tema portante, che anima e permea le performance, è quello della colpa, e l’esigenza di esorcizzare tendenze comportamentali che generano sofferenza e che determinano uno stato perenne di reità irrigidito in un corpo. Tre donne, figure tratte da altrettanti personaggi dalla mitologia greca e biblica, dalle vicende tragiche e oscure; l’ebrea Giuditta, che sedusse e decapitò l’assiro Oloferne; Cassandra, con il dono della profezia e maledetta a non essere mai creduta; Medea che uccise i figli per vendetta verso Giasone. Tre stati dell’animo, tre archetipi dell’inconscio umano, intervallati e scanditi dalle performance di Colaleo, che introducono e accompagnano i quadri in cui è stato suddiviso lo spettacolo.
Il primo quadro è quello dedicato alla figura di Giuditta, dominato dai toni sommessi e allucinati della musica e dalle luci basse, che si soffermano sul monologo interiore sofferente e spasmodico dell’eroina biblica – interpretata da Alessandra Bordino. Un’accelerazione di toni, segnalata dall’affacciarsi del suono tribale del didgeridoo accompagnato da ritmi ossessivi di percussioni, ha segnato i quadri dedicati a Cassandra, interpretata da Chiara Montalbani e a Medea, impersonata da Luisa Memmola, probabilmente la più iconica tra le rappresentazioni proposte. Un costume che mette in evidenza il seno e il ventre sanguinato, una ninna nanna della tradizione siciliana, delle uova poste sulla scena: tutti simboli della maternità, colpevolmente interrotta e per questo fonte di dolore e colpa per la donna. La catarsi finale, per quanto non definitiva, è annunciata da una strana donna anziana, con un berretto rosso e un fazzoletto e le note malinconiche di “Lontananza” di Domenico Modugno.