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Dalla Rottamazione alla Cooptazione

1940051_10202159442242319_1963280317_ndi Emanuele Grillo

L’intento di quest’articolo non si traduce in una critica asettica, piuttosto si indirizza nella ricerca di un’analisi che possa discernere il rocambolesco susseguirsi delle vicende che hanno coinvolto gli italiani, i Partiti ed i Governi succedutisi nella gattopardesca risoluzione della staffetta sino all’insediamento di Matteo Renzi e della sua squadra a Palazzo Chigi.
Iniziamo proprio dalla staffetta, uno “strumento” che poggia le sue fondamenta nel secondo comma dell’Art. 92 della nostra Costituzione, che così recita: “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri”.
Nulla di strano, quindi: forma di democrazia indiretta, in cui i cittadini eleggono il Parlamento, votando i Partiti.
Osservando però la storia repubblicana italiana sino ai giorni odierni – passando per la Prima e la Seconda Repubblica – emerge chiaramente un abuso dell’incessante soluzione di sostituire Premier e Ministri in gara, alle prese con perenni mozioni di sfiducia ed instabilità a garantire il normale prosieguo delle legislature.
Lo sconcertante risultato ammonta a sessantaquattro Esecutivi (compreso l’ultimo targato Renzi) in sessantasei anni di storia: la media quasi perfetta di un Governo ogni 365 giorni.
Uno strumento, dunque, ampiamente adoperato e in particolar modo dalla Sinistra, la quale molte volte ha dovuto assistere allo sgretolamento delle sue legislature nonché alle scissioni interne tra i vertici dei Partiti.
Ed ancora, il suo utilizzo forsennato denota un’evidente immaturità tutta nostrana nella mancanza di produttività di una democrazia fluida e produttiva a lungo termine (probabilmente perché noi italiani siamo, in fondo, ignoranti di democrazia) e fa sorgere spontanea una riflessione sulla validità della forma di Repubblica di tipo Parlamentare nel nostro Paese.
Tornando agli ultimi giorni, molti si chiedono se la strada intrapresa da Renzi fosse realmente l’unica percorribile, come una necessità tortuosa ed imminente (la famigerata palude), o se sarebbe stato più saggio optare per il rimpasto dell’ormai ex compagine lettiana o addirittura la formazione di un Letta-bis, continuando a sostenere il Governo previa scadenza in caso di inerzia mantenuta, andando al voto con una nuova legge elettorale, magari prima del semestre europeo incombente.
D’altronde, la scelta di sfiduciare un Governo appoggiato e creato dal PD – lo stesso che, per l’appunto, l’ha sfiduciato – è equivalsa ad un’auto-sfiducia a tratti imbarazzante.
Le motivazioni di Matteo Renzi per una simile scelta? Come mai l’inventore del #cambiaverso, una figura politica come lui che detiene un cospicuo consenso elettorale, che più volte ha rimarcato la legittimazione popolare e che ha auspicato la fine delle larghe intese, ha scelto invece di “ballare” con Alfano e Berlusconi?
Eppure sembra molto evidente la precarietà con cui una maggioranza di questo tipo (praticamente la stessa di Letta, PD-SC-NCD-FI) riesca a portare a compimento le numerose riforme che servono al nostro Paese.
Dove alcuni antichi cultori della Politica vedono un gesto di serietà e coraggio da parte del Sindaco di Firenze, altri denotano un rischio emulativo, evitabile ed inutile, che puzza di “trappola” – è doveroso ricordare che l’idea della staffetta è nata da una minoranza del PD, ovvero l’area dei Giovani Turchi – e che lo trasforma sostanzialmente in un’opportunista, che ha venduto l’anima al diavolo (o meglio, a Napolitano) per un pugno di poltrone, come l’ennesimo D’Alema di turno.
Una decisione presa senza passare dal voto – creando così il terzo Presidente del Consiglio dei ministri consecutivo non eletto, un brutto segno, specie se in tempo di crisi – che coinvolge unicamente il machiavellico Renzi nella sua personale sfida con la palude in cui ha scelto di immolarsi insieme alla Destra e a Grillo, pronto ad attenderli alla fine del percorso col fucile in mano.
Il PD ha scelto dunque di complicarsi la vita, rischiando di bruciare le proprie correnti (un vizio della Sinistra Italiana), non accettando le critiche reali e costruttive – molte delle quali espresse dalla base e da Giuseppe Civati – ed accettando di riconfermare quello che i suoi elettori mal digeriscono di più: le larghe intese.
E a sua volta, il rottamatore ha scelto di andare a governare coi rottamati, compromettendo tutta la linea improntata sinora, ledendo la sua coerenza – basta ricordare “mai più inciuci e larghe intese” e l’hashtag #enricostaisereno –  e l’idea di cambiamento decantata in pubblica piazza: la stessa in cui il fine, però, non avrebbe dovuto giustificare i mezzi.
Come ricorda Francesco Costa nel suo articolo pubblicato su Il Post, la scelta di Matteo è (anche) densa di un significato celato: Renzi ha voluto fare il Renzi, perché il popolo vuole vedere il Renzi che corre e non quello impantanato sull’Italicum per mano del Parlamento.
Un’accelerazione, quindi, che persevera il mantenimento del target Renzi come corridore vincente – in cui accetta le ipocrisie, trascinando l’intero Partito e coloro che l’hanno sostenuto – anche a costo di sbattere contro un muro.
Una scelta molto personale e squisitamente politica, che mira a far bene nei primi tre mesi della legislatura – il tempo di prova che solitamente gli italiani concedono ad un nuovo Governo – con la speranza che entro la fine dell’anno si siano dimenticate le dinamiche riguardo al suo approdo a Palazzo Chigi oltre che alle numerose incongruenze che ricoprono i suoi interventi prima e dopo la nomina a Premier.
Risaltano agli occhi le riconferme dei Ministri Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Beatrice Lorenzin e Dario Franceschini (quest’ultimo è persino salito di grado, andando a sostituire uno dei pochi soggetti politici distintosi durante il mandato di Letta: l’ex Ministro Massimo Bray); sembra quasi che in Italia occorra far male per essere ricompensati.
Ma soprattutto la nuova squadra del Governo Renzi I appare molto debole sin da subito, ampiamente modellata dal Presidente della Repubblica ed equamente divisa tra uomini e donne: quando si approderà alla conclusione che designare delle donne perché tali è un’offesa rivolta alle donne stesse?
Il Premier lavorerà molto e da solo, in una sfida in cui gli alleati della prima ora vorrebbero scommettere nel suo agonizzante declino.
Si pensava che Matteo Renzi – il “Tony Blair italiano” – avrebbe traghettato l’Italia nell’era della Terza Repubblica, dando voce alla base del PD, quando invece le decisioni sulla nascita e lo sviluppo del suo primo mandato sembrano trascinarla direttamente alla Prima, dando voce ad Alfano ma soprattutto (ancora) ad un condannato di nome Silvio Berlusconi.
Ma infondo, i cittadini saranno molto semplici: attenderanno che Matteo Renzi mantenga le promesse e i sogni di cui si è fatto carico, in primis i tagli ai costi della Politica, l’eliminazione del Senato della Repubblica (anche se, chiudere il Senato, non era un priorità: come potremo, poi, inserire una Camera delle Autonomie senza il federalismo? Basterà la presenza dei sindaci delle maggiori città italiane? Non si rischia di indebolire ancora di più quel flebile filo che unisce la politica romana agli enti locali?), la Riforma del Titolo V della Costituzione e molto altro.
Senza dubbio il nuovo Premier merita l’augurio di buon lavoro.
La sfida sarà molto dura – basti pensare che il nuovo esecutivo ha ottenuto la fiducia a Palazzo Madama con 169 voti favorevoli, un numero inferiore se paragonato all’ultima votazione di Dicembre che conquistò Enrico Letta, ottenendone 173 – e rappresenta, probabilmente, una delle ultime chance rimaste per un Paese che mira a diventare moderno, laico, progressista.

Si attenderà con ansia la rottamazione. Per adesso, non rimane altro che la solita cooptazione.