di Stefano Santos
Il decennale del Teatro Stabile di Napoli, celebrato con la presentazione presso il Teatro Mercadante del volume curato dalla scrittrice Valeria Parrella “Teatro Stabile di Napoli. Dieci Stagioni”, coincide con la profonda riforma del sistema culturale italiano inaugurato con il decreto legge 91/2013 “Valore Cultura” e insieme con la grande sfida che lo Stabile – fondato nel 2003 e riconosciuto nel 2005 – è chiamato a intraprendere. La questione è stata introdotta dal direttore artistico Luca De Fusco.
Ciò che va a essere riformato è la ripartizione dei fondi del Fondo Unico per lo Spettacolo, caratterizzato da un assetto rimasto immutato dall’emanazione della sua disciplina nel 1985 e bisognoso dunque di un aggiornamento che rifletta le attuali esigenze degli enti culturali italiani. Si passa così da un sistema di contribuzione annuale, finanziato dalla legge finanziaria, che rimane in vigore nell’anno 2014 – già novellato dal decreto – a un sistema caratterizzato da “piani triennali” contenenti requisiti più articolati per la concessione dei contributi, che intendono promuovere da un lato la territorialità delle produzioni, ponendo dei limiti al numero delle coproduzioni, e dall’altro un costante ricambio generazionale, promuovendo le produzioni di autori emergenti e le imprese teatrali composte da under 30, e ponendo in capo ai Teatri Nazionali uno specifico obbligo di costituire scuole di formazione e perfezionamento professionale.
La sfida del Teatro Stabile di Napoli, al momento riconosciuto come “teatro stabile ad iniziativa pubblica”, è quelle di rientrare nella categoria già citata di Teatro Nazionale. Qualifica al momento ottenuta dai Teatri Stabili di Milano, Torino, Genova e Roma, essa si trova al vertice del sistema di riparto dei fondi del FUS ed è beneficiaria di una quota quasi doppia rispetto al precedente assetto, con la previsione di criteri più stringenti: disponibilità di sale che contino complessivamente 1000 posti a sedere (con una che ne conti almeno 500); stabilità del nucleo artistico e dell’organico amministrativo; spazio maggiore alle produzioni in loco rispetto alle coproduzioni; la carica di direttore incompatibile con quella di regista; il già citato obbligo di costituire scuole di formazione e perfezionamento professionale
Una serie di criteri che costituisce una sfida per lo Stabile, per l’ingente investimento economico richiesto per raggiungere la qualifica, che comporterà una collaborazione ancora più stretta tra i soci e gli enti territoriali, soprattutto con la Regione Campania – rappresentata oggi da Caterina Miraglia – tra le più attive nel campo degli investimenti alla cultura e fautrice, nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni, di una “battaglia” per criteri meno stringenti (con esito nella diminuzione da 700 a 500 posti nei requisiti dimensionali) e per un correttivo alle direzioni artistiche.
Uno sforzo – come affermato dall’assessore del Comune Nino Daniele – orientato soprattutto a ribadire il ruolo di Napoli come centro teatrale a livello nazionale e europeo, non dimenticando così la fondamentale impronta che ha impresso nella cultura.