di Mattia Papa
Il governo Renzi è il fenomeno mediatico più riuscito degli ultimi anni. Nessun populismo di vario genere ha saputo eguagliare l’incredibile carisma renziano e il suo magnetismo televisivo. È piaciuto a tutti. Ed è così bravo ad apparire, così eccellente nella pianificazione di ogni minimo passo, che anche la scettica e rigida Angela Merkel ha dato il suo veto di consenso, seppur con qualche indecisione (è pur sempre tedesca).
È così carismatico, Matteo Renzi, che la macchina mediatica italiana ha deciso di giocarsi i prossimi vent’anni su di lui. Un classico dell’ultimo ventennio: un paio di assist, qualche critica elettoralmente efficace ed il gioco è fatto. Citando una pubblicità particolarmente in voga al momento, a loro piace vincere facile. Come d’altronde a Renzi. Ed è per questo che andranno d’accordo.
Non di certo un azzardo, il loro. Anzi. La scelta dei giornali e telegiornali del Belpaese è una scelta di comodo. Si parla sempre di “Matteo”. Male, bene: cosa importa? L’importante è che i riflettori siano puntati su di lui. L’importante è che se ne parli. Fino a quando ovviamente non si troverà un più adeguato e remunerativo rimpiazzo.
Se si hanno dubbi, si guardi bene all’ultimo ventennio che, in un modo o in un altro ha parlato sempre e solo di un’unica persona. Attacchi, critiche, satira, glorie, vittorie e scandali erano incentrati intorno ad un unico soggetto. Persino l’opposizione ne era condizionata. Poi Berlusconi è passato di moda. Ferito proprio in casa sua, e con le sue stesse armi.
Renzi lancia la vera sfida generazionale (e non quella di facciata interna al Partito democratico e contro Bersani alle primarie) sul palco di Maria De Filippi, regina del berlusconismo made in Arcore e predicatrice D.O.C. Erano lui e lei, sul palco. Lui, in giubbotto di pelle ormai alle porte del suo successo. Lei, in preda alla fretta nel raccogliere gli avanzi del potere rimastole.
Berlusconi era già finito. È finito. Davvero?
Forse sì. Il giovane fiorentino lo ha sfidato in casa, e ha vinto (probabilmente con qualche buono accordo in stile Italicum). E poi ha la stampa dalla sua. Il suo fascino da giovane sbarbatello, da arrogante saputello, da innovatore e ventata d’aria fresca, fa simpatia all’elettorato italiano: gli italiani lo sentono più vicino. Quindi, perché non approfittarne? Sarebbe un errore da novellini, che declasserebbe professionalmente i grandi esperti dell’economia dell’informazione di Repubblica, del Corriere, etc.
Lo chiamano tutti “Matteo”, lo seguono nei suoi momenti privati, ne conoscono nonne, moglie, figli. Anzi, li conosciamo. C’è un livello tale di radicamento di un solo ed unico volto in tutte le tv, su tutti i giornali, su ogni blog e quotidiano online, su ogni social network. C’è un unico ed esclusivo evento: Matteo Renzi. E c‘è un unico e solo obiettivo: sostituirlo al vecchio Silvio, oramai rottamato. E poi ricomincia la giostra mediatica.
Ogni possibilità di senso critico è annullata. Ogni mossa è controllata e tutto ruota intorno alla mistificazione dei problemi reali della società. Si ingabbiano le individualità e se ne limitano i potenziali creativi, riflessivi, artistici. Si annulla la vita, decostruendola e rimontandola imbottita di fantomatiche verità (le loro), ossia le bugie che ci permettono di chiudere gli occhi nonostante la sofferenza e la disperazione di un vuoto quale è il nostro presente e sarà il nostro futuro. Tutto torna, tutto dovrà tornare. C’è solo da capire cosa e quando.
Ma nel nostro caso, non c’è da focalizzarsi troppo. Giunge l’epoca della falsa apparenza, dell’apparenza mistificata. Poiché l’apparenza è sempre ciò che ci è davanti, così per come essa appare senza doverne scavare l’interno o ricercarne la profondità. Eppure ciò che noi vediamo è nascosto, poiché nascosta è la vera apparenza, la pura apparenza: la purezza nel manifestarsi delle cose, invece occultate sotto un velo, molti fronzoli e montagne di trucco.
È necessario un profondo, poiché in profondità sono state nascoste le cose. E nulla cambia. Infine si decide di cambiarsi solo i vestiti. E allora compare il nuovo attore con il suo nuovo copione. Stesso canovaccio, stesso sistema. L’individuo è schiacciato tra le pagine. “Eppur se move”, disse qualcuno qualche tempo fa. Se fosse qui oggi, non lo direbbe. Non più. Non in apparenza.