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“Antonio e Cleopatra” di Luca De Fusco, tra Shakespeare e teatro delle origini

Gaia Aprea e Luca Lazzareschi (ph. Fabio Donato)

Gaia Aprea e Luca Lazzareschi (ph. Fabio Donato)

di Stefano Santos

A conclusione del tour italiano, che ha toccato il Teatro Eliseo di Roma, il Teatro Carcano di Milano, l’Arena del Sole di Bologna e il Teatro della Corte di Genova, “Antonio e Cleopatra” di Luca De Fusco ritorna nel luogo in cui esso fu concepito e debuttò – nell’ambito del Napoli Teatro Festival Italia – il Mercadante di Napoli.

Il classico shakespeariano, considerato tra i più complessi lavori del drammaturgo britannico, viene affrontato dal regista napoletano proseguendo nella strada già percorsa con l’“Antigone” del 2012. Assieme al cast tecnico – la scenografia di Maurizio Balò, i costumi di Zaira De Vincentiis e le musiche originali di Ran Bagno –  l’opera ripropone infatti come protagonista femminile Gaia Aprea (attrice spesso prediletta da De Fusco), che già lo era stata nel lavoro scritto da Valeria Parrella, qui accompagnata da Luca Lazzareschi che veste i panni di Antonio. Sullo sfondo, steso a grandi campiture di colore, si osservano le vicende della guerra tolemaica, combattuta in seno al secondo Triumvirato tra Ottaviano (interpretato da Giacinto Palmarini) e Marco Antonio. Man mano che si entra nel dettaglio, emergono nuove e diverse figure costruite attorno i protagonisti: il seguito di Antonio, formato dagli amici Demetrio (Paolo Cresta) e Eros (Enzo Turrin), il luogotenente Enobarbo (Paolo Serra); i fedeli ad Ottaviano Agrippa (Stefano Ferraro) e Mecenate (Gabriele Saurio); le ancelle di Cleopatra, Carmiana (Serena Marziale) e Federica Sandrini (Iras). Ancora più in profondità, mettendo da parte la grande Storia e gli intrighi politici, osservando nel privato delle proprie stanze, o nelle confidenze ad amici cari, si consuma l’amore che lega i protagonisti del titolo. Antonio appare offuscato dall’amore per Cleopatra, con comportamenti che agli occhi dei suoi seguaci sfiorano l’irrazionalità, mentre la regina a sua volta si consuma nella frivolezza e nella lascivia. Contrastati dalla fortuna audace del futuro Augusto, al quale tutto sembra arridere, secondo l’Indovino (Eros Pagni), essi sono destinati a una fine sicura e per giunta ignominiosoa, marionette del trionfo finale di Ottaviano. Tuttavia, prima che essa arrivi a lambirli, essi la anticipano in un ultimo, tragico, sussulto di dignità, che farà guadagnare loro un funerale celebrato solennemente.

L’obiettivo prefissato da De Fusco era quello di ritornare al teatro delle origini, in cui gli attori declamavano il testo accompagnati dalla musica, rifuggendo dalla necessità di riprodurre fedelmente la realtà. Ci riesce attraverso una commistione molto moderna con l’immagine video, la musica e la danza, con l’espediente uno schermo traslucido a coprire il palcoscenico, su cui vengono proiettati audaci primi piani dei protagonisti, immagini musicate e coreografie. Una soluzione di grande impatto visivo, affiancato all’efficace scenografia, trucco e costumi: osserviamo infatti gli attori trasformati in antiche statue ellenistiche in marmo, illuminati da luci selettive. attraversati da ombre dure e definite. Una serie di scelte registiche, assieme alle ottime performances attoriali, molto apprezzate del pubblico, il quale ha tributato un lungo applauso, senza che la lunga durata dello spettacolo potesse far diminuirne il giudizio complessivo.