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“Lei”: l’amore ai tempi del computer

her-lei-poster-itadi Marco Chiappetta

TRAMA: In un’avveniristica Los Angeles del futuro prossimo, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), scrittore per l’azienda Beautiful Handwritten Letters, che si occupa di redigere lettere d’amore per amanti pigri e senza fantasia, dotato di un carattere introverso e timido, devastato per il divorzio con l’amata Catherine (Rooney Mara), decide di risolvere la sua solitudine acquistando un Sistema Operativo, un computer dotato di una voce femminile (Scarlett Johansson) e con una sua propria personalità. La convivenza tra Theodore e questo computer “umano” si fa a poco alla volta più intima fino a diventare una vera e propria relazione sentimentale, appassionata e impossibile, con tutte le caratteristiche di un vero amore, gelosia e dolore compresi.
GIUDIZIO: Quarto film di Spike Jonze, il primo da lui interamente sceneggiato (e premiato con un meritato Oscar), dopo il passo falso di “Nel paese delle creature selvagge” (2009), è un grande ritorno, più vicino alla poetica cerebrale, intimista, surreale dei suoi inizi e del suo bel corto “I’m Here”. “Lei” è una favola fantascientifica, pregna di satira, umorismo lieve, malinconia e sì, autentica poesia, che racconta l’amore oggi (o domani), in un’epoca senza compagnia né sentimento, dove i rapporti sociali sono una chimera, sommersi dalla dittatura di tecnologie sempre più umane, intelligenti, calcolate e verosimili, perfette e ingannevoli. La riflessione sulla solitudine moderna, che trova nella metropoli ideale futuribile di grattacieli e loft (costruita tra Los Angeles e Shanghai) il suo teatro deprimente, è intelligente e rivela una grande, dolente sensibilità. L’impossibilità di amare, l’eterno contrasto tra realtà e fantasia, l’alienazione dell’individuo nella società di massa, la programmatica freddezza dei sentimenti in un mondo frenetico e artefatto, sono tra i temi trattati, con leggerezza e tatto, da Jonze, abilissimo soprattutto nel percepire e far percepire pensieri, sensazioni, ricordi, dispiaceri, speranze, insomma di far entrare nella mente e nel cuore del suo protagonista: una dote preesistente nel suo capolavoro “Essere John Malkovich” e nel successivo, delizioso “Il ladro di orchidee”, entrambi sceneggiati dal geniale Charlie Kaufman, la cui larga eco pure qui risuona. Samantha, invisibile e sensuale, è l’utopia imperfetta della tecnologia, parente del folle Hal 9000 di “2001: Odissea nello spazio” e dell’attrice S1m0ne nell’omonimo film di Andrew Niccol. Ma più che la lei del titolo, è lui l’anima del film. Attore più unico che raro, Joaquin Phoenix è un vero specchio di emozione e tristezza, capace di evocare stati dell’anima, malinconie e gioie comuni a tutti e proprie della vita moderna, non limitandosi a rappresentare e interpretare, ma a vivere e sentire. I flashback della vita matrimoniale di Theodore, sconnessi, muti, quasi senza un suono, illuminati e girati à la Terrence Malick, le percezioni della memoria e del dolore, le riflessioni sui passanti o sui passeggeri della metropolitana e le loro vite, in generale il suo sguardo in soggettiva sul mondo, è tanto universale e toccante che ognuno può identificarvisi: Theodore è un “everyman”, versione 2.0 degli eroi solitari della narrativa novecentesca, rappresentativo di un’epoca e di certe attitudini. Evocative sono, del resto, anche le scenografie minimaliste e concettuali – spazi immensi, grattacieli altissimi, spiagge sovrappopolate, loft belli e vuoti – così come la bella colonna sonora degli Arcade Fire: una comunione di immagine e musica che comunica moltissimo, e ricorda l’attività di Jonze come regista di videoclip. Se c’è qualcosa che blocca il film è forse la sua stessa ambizione: a un certo momento sembra innamorasi di se stesso e della sua geniale idea, frenarsi e accontentarsi in una stasi un po’ descrittiva e ripetitiva del suo paradosso, mostrando sì i pro e i contro di un amore platonico e impossibile per una persona non reale, ma senza evolvere se non per accumulo. Più sintesi e meno sentimento avrebbero giovato, e anche meno prevedibilità (il finale, lieto ma non troppo, e il personaggio di Amy Adams). Ma si tratta di voler cercare il pelo nell’uovo a tutti i costi: “Lei” è un film squisito e genuino, grandioso e intimista a un tempo, attuale eppure in anticipo sui tempi.
VOTO: 3,5/5