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La violenza senza nome, l’ordine pubblico senza volto e l’anomalia italiana

184446264-fec2f060-11bb-40f0-85a7-5dd982e9054cdi Roberto P. Ormanni

L’abbraccio tra i due manifestanti stesi sul selciato di via Veneto e immobilizzati durante gli scontri di ieri a Roma tra polizia e corteo dei movimenti è il ritratto che ha commosso l’opinione pubblica. Nei momenti successivi ad ogni manifestazione, tra gli editoriali preparati dopo ogni protesta, puntualmente e immancabilmente, un manipolo di gazzettieri di professione scava tra le immagini della giornata alla ricerca dello scatto che possa muovere e commuovere i cuori dei i lettori nel migliore dei modi. La ragazza No Tav che baciò il casco del poliziotto in Val di Susa, per esempio, oppure l’abbraccio della coppia di Vancouver durante la guerriglia cittadina del 2011: figure raccolte da qualcuno e trasformate da qualcun altro in iconografie esemplari attraverso processi di risignificazione retroattiva.
Si dice che nel cinema ogni inquadratura può avere un controcampo, che ogni prospettiva condiziona il punto di vista, che ogni angolazione comporta una messa a fuoco a se stante. L’abbraccio tra i due manifestanti di via Veneto è una luce di dolcezza che brilla in un’oscurità barbarica: due corpi stesi a terra: lui, un giovane con la fronte leggermente insanguinata, che stringe tra le braccia lei (la compagna? la sorella? l’amica?) in un gesto di protezione finale di fronte al manganello di un poliziotto che li ha immobilizzati. La scena, nella sua drammatica tenerezza, potrebbe essere il soggetto di un Caravaggio.
135655688-f5ccea79-24b4-4c0a-a8f8-1e937b77fe70Eppure, basta allargare appena un po’ il campo di ripresa, per raccogliere un ulteriore dettaglio: un secondo agente, senza identità e in borghese (casco blu, giacca di pelle, pantaloni beige e anfibi), si avvicina e sale con un piede sul torace della ragazza già a terra. Una violenza immotivata (del tutto analoga all’aggressività dei manifestanti che ufficialmente si cercava di contenere) e un abuso non legittimato. Ed è a questo punto che la riflessione deve misurarsi non più con il romanticismo del primo scatto, ma con la bestiale follia della seconda scena.

E’ inaccettabile che l’Italia, da tredici anni a questa parte, non abbia ancora saputo (o voluto) risolvere la regolamentazione dell’uso dell’uniforme e l’identificabilità del personale delle Forze di Polizia. Un’atavica giustificazione gendarmesca tutta italiana, che guarda alle divise come qualcosa di inviolabile ed intoccabile.
Già nel 2001, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa redasse un Codice etico europeo per la polizia “convinto che la fiducia pubblica nella polizia è strettamente collegata all’atteggiamento e al comportamento [della polizia] verso il pubblico”. Tra le varie raccomandazioni, il testo approfondiva gli orientamenti per l’azione delle forze dell’ordine. All’articolo 39 veniva specificato come “il personale di polizia deve adempiere agli ordini legittimamente impartiti dai superiori, ma ha il dovere di non eseguire quegli ordini che siano chiaramente illegali e di farne rapporto, senza timore di sanzione”, mentre all’articolo 45 si sottolineava la necessità di predisporre il “personale di polizia, nel corso di un intervento, nelle condizioni di fornire le prove del proprio status e della propria identità professionale”.
codici+identificativi+poliziotti-2Difatti, in undici paesi dell’Unione Europea (Spagna, Slovenia, Repubblica Ceca, Grecia, Belgio, Svezia, Polonia, Ungheria, Regno Unito, Francia, Germania) è prevista la riconoscibilità delle forze dell’ordine (con una matricola identificativa o addirittura con nome e cognome sulla divisa).
Nondimeno, in questo senso, il Parlamento Europeo, nel 2012, ha espresso “preoccupazione per il ricorso a una forza sproporzionata da parte della polizia durante eventi pubblici e manifestazioni nell’UE” ed è tornato ad esortare “gli Stati membri a garantire che il personale di polizia porti un codice identificativo”.

Alcuni mesi fa, nel Novembre 2013, Paolo Scaroni, tifoso bresciano picchiato dalla polizia il 24 settembre 2005, ha lanciato tramite la piattaforma Change.org una petizione indirizzata al presidente del Consiglio e al Ministro dell’Interno per chiedere l’applicazione obbligatoria dei codici identificativi sulle divise delle Forze dell’Ordine. Mentre l’appello ha raggiunto le 100.000 firme, Angelino Alfano, Ministro dell’Interno, ha dichiarato di essere “quanto più contrario non si possa essere” giudicando i codici identificativi come qualcosa che “contraddice tutte le regole che presiedono alla sicurezza del paese e dei singoli agenti”. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, invece, non ha ancora affrontato né approfondito la questione.
Tuttavia, alla fine dello scorso Febbraio, è stato presentato al Senato, per iniziativa di alcuni parlamenti del Movimento 5 Stelle, volto a regolamentare l’identificazione delle Forze di polizia in servizio di ordine pubblico attraverso un codice alfanumerico. Il testo, ad oggi, è ancora in attesa di discussione e approvazione.