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“The Homesman”: western classico (ma non troppo) firmato Tommy Lee Jones

the-homesmandi Marco Chiappetta

TRAMA: 1854. Rude e autoritaria, zitella e religiosa, la pioniera Mary Bee Cuddy (Hilary Swank) si offre come volontaria per trasportare dal Nebraska all’Iowa tre giovani donne impazzite (Miranda Otto, Sonja Richter, Grace Gummer) da ricoverare in una comunità metodista. Lungo il tragitto salva la vita al selvaggio vagabondo George Briggs (Tommy Lee Jones), lasciato impiccato su un albero da dei creditori, e ottiene in cambio di farsi accompagnare da questi nel lungo viaggio per un’America desolata, violenta e miserabile.
GIUDIZIO: Secondo film da regista di Tommy Lee Jones, dopo l’eccellente “Le tre sepolture” (miglior attore e miglior sceneggiatura a Cannes 2005), continua la rilettura del genere western, questa volta guardando più a Ford che non a Peckinpah, ma sempre con uno stile – di scrittura, di regia, di morale – che trascende dal semplice manierismo classico, a cui pure la straordinaria fotografia, quasi Cinemascope, di Rodrigo Prieto, fa pensare. Ancora una volta il centro etico e metaforico del film è un viaggio, dove ciò che importa è il tragitto e non la destinazione, e quindi, narrativamente, ciò che si muove nei personaggi e non attorno a loro. Del western mancano l’epica, lo spettacolo, l’avventura, non ci sono cowboy, gli indiani appena appaiono, co-protagonista è una donna dal carattere e dai tratti maschili (nessuna meglio di Hilary Swank per questo ruolo), l’eroe è un antieroe senza retorica, morale, destino, ma non senza cuore, e il suo viaggio è anche quello di una redenzione impossibile. Tratto da un romanzo di Glendon Swarthout, il film di Tommy Lee Jones racconta la solita storia degli opposti che si respingono, si attraggono, si conoscono, si comprendono, forse si amano, nel più tipico e arcinoto dei viaggi on the road. Lo fa con delicatezza, umanità, qua e là dell’umorismo, belle invenzioni visive, un lirismo elegiaco che fa pensare a Eastwood, qualche sorpresa imprevista, e un affetto notevole nel ritratto dei due protagonisti (lasciando praticamente in disparte le tre pazze, adibite a pretesto), regalando momenti di ottimo cinema, ma raramente imponendosi come nuovo o inedito o tantomeno rivoluzionario. È un western anomalo ma con un conto aperto con la tradizione e il passato, e con un cinema classico in cui si iscrive a giusto merito. Musica molto bella di Marco Beltrami. Cameo notevole di Meryl Streep.
VOTO: 3/5