Home » Napoli, News, Università » “Interludi da camera” all’Associazione Megaride di Napoli: la filosofia tra musica e nuove forme di comunicazione

“Interludi da camera” all’Associazione Megaride di Napoli: la filosofia tra musica e nuove forme di comunicazione

Il logo dell'associazione culturale "Megaride"

Il logo dell’associazione culturale “Megaride”

di Mattia Papa

Si può pensare la filosofia fuori dai luoghi tradizionalmente deputati? Esistono forme attraverso cui è possibile dare nuova voce ai pensatori del passato e, perché no, a quelli del futuro? Ed è possibile fare tutto ciò a Napoli? In via Santa Lucia 110, l’Associazione Culturale “Megaride Eventi Club” presieduta da Vincenzo Meo ci prova, con la rassegna annuale Interludi da camera, curata da due filosofi napoletani, Riccardo De Biase (ricercatore presso il Dipartimento degli Studi umanistici della Federico II) e Rosario Diana (ricercatore presso l’Ispf-Cnr). Da due anni e mezzo ormai De Biase e Diana stanno proponendo temi filosofici ad un pubblico più ampio, anche di non addetti ai lavori, attraverso nuove grammatiche e metodologie inusuali rispetto a quelle usate in ambito accademico. Li abbiamo intervistati per addentrarci nel loro lavoro e capire meglio forme e modalità della loro proposta.

Che cos’è l’Associazione Culturale “Megaride Eventi Club” e quando nasce?
De Biase: “Megaride Eventi Club” è un’associazione che intende promuovere attività culturali in generale. Nasce nel 2006 e noi (Rosario Diana ed io) vi subentriamo a lavori in corso, nel 2011, con il progetto di costituire un “luogo” dove confrontarsi e discutere di filosofia con un pubblico più ampio e meno configurato di quello – più specializzato e omogeneo – che di solito incontriamo nello svolgimento della nostra attività di ricercatori.
Diana: Con il passare del tempo e l’accrescersi della nostra esperienza extramoenia, per così dire, ci siamo resi conto di come il processo di disseminazione del sapere filosofico (non uso “divulgazione”, sinonimo di semplificazione, e nemmeno “diffusione”, che allude ad una mera estensione quantitativa) vada inteso – e la parola nel suo significato lo dice inequivocabilmente – come una sorta di semina: si lanciano pochi semi a una piccola comunità e si lavora insieme affinché i germogli possano fruttificare in ognuno di noi. In tal senso possiamo parlare di una sorta di militanza filosofica e di una filosofia politica, non intesa nel senso specifico di una riflessione dedicata ai problemi politici, ma di un pensiero che vuole incontrare e dialogare con la città (polis, appunto).

Come è cambiata l’Associazione con il vostro arrivo?
De Biase: Nell’indicazione delle finalità non è cambiato molto. Con la nostra partecipazione all’iniziativa, l’Associazioneha ampliato le sue originarie modalità di promozione culturale, aggiungendo quelle che provengono dal nostro bagaglio di conoscenze e dal nostro modo di fare ricerca filosofica.

Come possiamo definire, allora, Interludi da camera?
De Biase: Interludi da camera è il nome della nostra rassegna annuale, giunta attualmente alla sua terza stagione. In essa proponiamo reading filosofici, brevi cicli tematici di cineforum, spettacoli teatrali, concerti. Il tutto con ingresso rigorosamente gratuito. L’unica condizione – dettata dalle norme sulle Associazioni – è l’acquisto della tessera annuale, il cui costo è di dieci euro. In sostanza, Interludi da camera – vorrei dire – è la cornice, già essa stessa densa di contenuto, nella quale noi formuliamo la nostra proposta di una filosofia in movimento verso una dimensione pubblica.
Diana: Vorrei aggiungere qualcosa sul nome di questa rassegna. La scelta è caduta sul termine “interludi”, perché gli eventi che proponiamo si collocano di sera, solitamente nel mezzo della settimana, quindi rappresentano una sosta nella routine lavorativa. “Da camera”, perché si svolgono nel piccolo strindberghiano teatro da camera – con una quarantina di posti a sedere – che si trova nella sede dell’Associazione.

10012441_10203129971637987_1463327763_n-245x3001Siete entrambi ricercatori di filosofia. Come mai avete avuto la necessità di cercare, come dite voi, nuove forme di disseminazione del sapere filosofico e nuovi spazi al di là dei soliti dove lavorate?
De Biase: Probabilmente le motivazioni sono molto affini, ma non credo siano esattamente sovrapponibili. Ma a volte è proprio dalla non uniformità delle idee che nascono le proposte più interessanti, almeno per noi… Per quanto mi riguarda, vorrei dire che uscire fuori dall’Accademia e fare delle attività che normalmente non si fanno tra le pareti universitarie io non lo vivo come un distacco. Sono le stesse identiche cose modulate su un’altra grammatica. A mio modo di vedere, il mio lavoro non cambia nella sua genesi. Ma certo mi rendo conto che per tradurre i concetti filosofici in termini comprensibili ai più, quegli stessi concetti devono essere rielaborati. Ma questo è un arricchimento anche per me.
Diana: Il bisogno di rivolgermi ad un pubblico più vasto è nato in me dal tipo di ricerca che sto conducendo negli ultimi anni. Dal momento che mi occupo di filosofia interculturale e mi sforzo di mettere a punto dispositivi che tendenzialmente vorrebbero promuovere e agevolare la relazione con l’altro, inteso come migrante, discutere i frutti della mia ricerca soltanto con i miei colleghi di disciplina mi è sembrata una vera e propria limitazione. Se quei dispositivi possono funzionare, allora può forse avere un senso condividerli con la comunità della polis e discuterli con i suoi membri.

C’è dunque un accento posto sulla dimensione sociale della riflessione filosofica?
Diana: Quando si parla di un’operazione di questo tipo, ci si confronta in primo luogo con quella che è chiamata la comunità dei dotti, la quale non vede sempre di buon occhio un’apertura dei saperi accademici ad un più vasto pubblico. Si teme che questo possa avere come conseguenza una banalizzazione del pensiero e un impoverimento terminologico. E infatti è questa la sfida: i saperi filosofici possono implementare e promuovere acquisizioni di consapevolezza di sé e del mondo intorno a sé. Se questo è vero, allora i saperi filosofici si devono aprire ad una comunità più ampia e non devono rimanere chiusi tra le mura dell’Accademia. Attenzione: qui non si sta proponendo un’alternativa, sostenendo che bisogna fare l’una o l’altra cosa. Qui si sta affermando che si devono fare entrambe le cose, poiché entrambe hanno una funzione specifica necessaria. Per dirla in due parole: la ricerca filosofica si accresce nelle Università e negli Enti deputati, grazie al contributo di quanti vi lavorano; entra in relazione con la “città” e si confronta con la comunità dei cittadini, quando viene disseminata, e questo può offrire occasione di crescita intellettuale a tutti, agli studiosi e a quanti nutrano per essa un interesse non professionale. Non sto cercando di sovrapporre alla figura dello studioso quella husserliana di funzionario dell’umanità che fa da guida. Qui il ricercatore è più un “provocatore” in senso buono: è colui che lancia un sasso in uno stagno, sperando che si formi un’onda. Ma lui è nello stagno come gli altri e l’onda smuove anche lui…
De Biase: Naturalmente una certa forma di verticalità resta implicita. Chi viene ad ascoltarci e partecipa alle discussioni che si sviluppano dopo i nostri reading filosofici sa da dove veniamo e quale è il nostro mestiere. Ma nel dialogo le verticalità tendono a sciogliersi e ad emulare orizzontalità non scevre, spesso, di dissidi e confronti fortemente polemici.

Qual è secondo voi il compito della filosofia oggi. E soprattutto, quanto la filosofia può attecchire nella vita della gente.
De Biase: Credo che la filosofia abbia o debba ambire ad avere una forma di utilità. Deve essere utile alla vita, per dirla con Nietzsche, ma anche con Cartesio. Se la filosofia rimanesse relegata in un libro, per quanto legato ad una tradizione e traboccante di gloria, questa circostanza non sarebbe per me soddisfacente, non avrebbe la mia adesione.Se la filosofia è un qualcosa che nasce dagli uomini, be’, allora perché non proseguire in questo senso popolare (prendiamo con cautela questa parola), partendo da un bisogno umanissimo? Non vedo perché non debba riconvertirsi sempre e costantemente in un’utilità, in un uso – come dice Kant – pratico della ragione. Mai pensare che si agisca senza la ragione, ma mai credere che la ragione non abbia una sua usabilità. Quindi, se queste nostre serate, queste nostre iniziative riescono in qualche modo ad affinare l’idea che con la filosofia si possa aiutare il nostro quotidiano, allora la filosofia serve a qualcosa.
Diana: Se posso metterla sul personale, direi che l’incontro con la filosofia e la mia esperienza di lavoro nel mondo della ricerca mi ha aiutato a vivere una vita – a mio parere – degna di essere vissuta. Credo che la filosofia, da quando l’ho scoperta e ho iniziato a studiarla (intorno ai tredici anni), mi abbia reso migliore. Se la filosofia può giovare – come io ritengo, senza però volerla imporre a nessuno –, allora forse è giusto comunicarla ad un pubblico più vasto.

filosofi_popChe differenza c’è fra il vostro progetto di disseminazione e la pop-filosofia?
Diana: Devo confessare che ho gran rispetto per la pop-filosofia, credo sia una forma di riflessione seria e illuminante (quando, però, non è il frutto della improvvisazione o della concessione alle moda più diffusa). I “pop-filosofi” fanno, però, un’operazione diversa rispetto alla nostra. La pop-filosofia si riferisce alle icone della popular culture (come i Simpson, ad esempio, o il Dottor House), le analizza anche con l’intento di lasciarsi contaminare da questi contenuti. Il processo è lì biunivoco e reciproco. Noi non ci siamo mai avvicinati a qualche espressione della cultura popolare (io non saprei farlo come lo fa un pop-filosofo). Abbiamo fatto e continuiamo a fare un tentativo di comunicazione dei temi filosofici che ci interessano, e che riteniamo di un qualche interesse pubblico, con modalità relativamente nuove ed inconsuete: i reading filosofici, appunto.

Diana, lei è l’ideatore e teorico della famosa forma reading di cui spesso Interludi si serve per le sue iniziative e per la disseminazione del pensiero filosofico. Ma cos’è un reading filosofico?
Diana: In effetti, in questi anni ho lavorato molto all’idea di reading filosofico e ne ho ricavato un saggio piuttosto corposo in corso di stampa sulla rivista Pagine inattuali. Con De Biase ci siamo spontaneamente (cioè non deliberatamente) divisi i compiti: io mi occupo della forma reading e lui si occupa delle iniziative collegate all’editoria. Dirige, infatti, una collana “Interludi di Megaride”, di cui le parlerà lui stesso, credo. Ma ritorno al tema. Ci sono due tipi di forme reading: una, che è nata e si è evoluta a Megaride, nell’ambito degli Interludi da camera; un’altra, che indico come opera-reading, risale all’anno scorso – ma non è sorta nelle sale dell’Associazione – ed è concepita come una vera e propria opera da concerto priva della componente iconica (presente, invece, nel reading), ma con un apparato testuale piuttosto complesso, affidato a lettori e cantanti, e con musiche originali composte per l’occasione. La forma reading, che pratichiamo attualmente a Megaride, è ancora una forma multimediale, ossia le varie componenti (iconica, testuale, musicale) si sviluppano indipendentemente l’una dall’altra, pur essendo tematicamente connesse. Spero, nel breve futuro, di poter sperimentare soluzioni più vicine a modelli intermediali. La finalità è quella di provocare nello spettatore-ascoltatore un’esperienza di tipo sinestetico. I nostri reading filosofici son sempre divisi in tre parti: un’introduzione e una prima parte accomunate da una tendenza ostensiva, ossia in esse si presenta il testo filosofico d’autore. Il quale, in verità, non viene rimaneggiato, ma semplicemente rimodulato, in maniera tale da mettere in risalto taluni termini-concetti, affinché essi possano maggiormente imprimersi nella memoria dell’ascoltatore. La seconda parte è di carattere più riflessivo e interpretativo: qui noi – De Biase ed io – insieme agli attori-lettori leggiamo testi nostri intrecciati a quelli d’autore.

De Biase, oltre ai reading ci sono iniziative altre a cui avete dato vita?
De Biase: Al momento abbiamo due seminari in corso. Uno dedicato al tema: Funzioni e compiti della filosofia; un altro teorico-pratico di Teoria e tecniche della recensione. Il primo si articola in sei incontri e vuole essere una “riflessione a più voci” (così recita il sottotitolo) su scritti importanti di alcuni filosofi contemporanei (Husserl, Dilthey, Nietzsche, Heidegger, Deleuze-Guattari) che hanno meditato sul ruolo del sapere filosofico. Il secondo intende analizzare le forme letterarie attualmente più in uso per la comunicazione della ricerca filosofica e sollecitare gli studenti a prendere confidenza e cimentarsi con queste forme. In entrambi i seminari la parte del protagonista è affidata dagli studenti, i quali preparano e leggono relazioni che poi vengono discusse dai partecipanti. Noi ci limitiamo a svolgere un ruolo di indirizzo e di guida.

Rousseau-juge-de-Jean-JacquL’Associazione ha dato vita anche ad una collana editoriale. E’ lei De Biase che se ne occupa più da vicino. In cosa consiste questa vostra proposta?
De Biase: Quando abbiamo presentato della collana, era il 18 di giugno del 2013, si era stabilito che sarebbe uscita una ristampa del famoso testo di Rousseau Rousseau giudice di Jean Jaques entro l’aprile del 2013. Siamo un po’ in ritardo, ma presto il volume uscirà, con una introduzione del collega Giuseppe Merlino. È sicuramente un modo per riuscire a lasciare memoria di quelli che sono stati i frutti del nostro percorso. È stato presentato, nel dicembre 2013, un libro che dava il via alla collana (il n°0) scritto da me, su Martin Heidegger. Bene, nella premessa spiegavo che la collana, intitolata – come è stato già ricordato – “Interludi di Megaride”, è stata divisa in tre sezioni: Interstizi, Prime e Klassik. La prima vuole scandagliare territori a metà strada tra filosofia e arte, scienza, religione, antropologia e, in generale, saperi umanistici. La seconda vorrebbe portare all’attenzione le “opere prime” di giovani e giovanissimi ricercatori, in grado di esprimersi in modo appropriato nei confronti della comunità scientifica. L’ultima ha per oggetto alcuni tra i grandi classici della tradizione filosofica occidentale.

Chi vuole assistere ad un vostro reading, cosa deve fare?
De Biase: Semplicemente venire in Associazione a via Santa Lucia 110 e associarsi, acquistando la tessera annuale, che costa 10 euro.
Diana: I reading, i seminari e ogni altra attività (è importante chiarirlo) sono a ingresso gratuito. L’iscrizione serve esclusivamente ai fini fiscali e legali. Gli eventi programmati vengono ripartiti in due stagioni nel corso di un anno: una che va da gennaio a maggio (ma i seminari si protraggono anche fino a luglio); un’altra che va da ottobre a dicembre.
De Biase: Gli iscritti vengono inseriti in una mailing-list. In questo modo, essi vengono informati via mail sulle iniziative dell’Associazione. Abbiamo poi una circoscritta diffusione cartacea che avviene in un luogo privilegiato quale è la sede di Porta di Massa del Dipartimento degli Studi umanistici.

Quindi i partecipanti arrivano a voi e all’Associazione attraverso un passaparola?
De Biase: Sostanzialmente sì. Con l’iscrizione scatta poi l’informazione via mail.

Prospettive per il futuro, nuova attività o sperimentazione?
De Biase: La stagione autunnale si aprirà con un reading sul mito di Orfeo, con musiche di Gluck e una performance con due ballerine di danza contemporanea.
Diana: Altre idee bollono in pentola: Si sta pensando ad un reading sulla prima guerra mondiale, in occasione dell’anniversario. L’anno prossimo, il 27 gennaio – giorno della Memoria –, vorremmo proporne invece un altro sulla Shoah. Per il momento sono solo idee. Ma i mesi estivi, dedicati alla programmazione della nostra attività, sono vicini. Vedremo quale idea sarà suscettibile di trovare un’adeguata realizzazione.