Mana è un concetto che si può trovare in molte culture delle popolazioni dell’Oceania insulare – la Polinesia, la Melanesia, le Hawaii, i Maori neozelandesi – con il significato prevalente di ‘forza sovrannaturale’ che anima e permea la natura, con paralleli nella nostra lingua quali lo spirito, il soul inglese o il geist tedesco (come utilizzato nella liturgia). Ed è anche il titolo della seconda coreografia di Noa Wertheim con la Vertigo Dance Company in programma al Napoli Teatro Festival, dopo l’acclamato Reshimo, riproposta dopo il suo debutto nel 2009. Accanto al suo titolo evocativo, la principale fonte d’ispirazione della performance è lo Zohar (dall’ebraico Sefer ha-Zohar, ‘Il libro dello splendore’) tra i principali volumi della tradizione cabalistica medievale, che ebbe una diffusione paragonabile a quella della Bibbia tra gli ebrei della diaspora. Esso affronta, accanto ai commentari della Torah, la discussione sulla natura di Dio, l’origine e la struttura dell’universo e dell’anima, il rapporto tra l’Oscurità e la Luce di Dio, in una maniera che potesse infondere saggezza e illuminazione al lettore erudito. Partendo da questi due tòpoi si assiste nella coreografia a una riflessione filosofica incentrarta sui contrasti, su quello eterno tra la luce e l’oscurità, la linea e il cerchio, il maschio e la femmina, l’interno e l’esterno, la libertà e la prigionia.
Il luogo dove si svolge questo percorso è la Sala dei 500 del Museo ferroviario di Pietrarsa, quest’anno adattato meglio alle esigenze del pubblico alle prese con l’estate incipiente, climatizzato allo scopo.
La scenografia, curata da Rakefet Levy, è spoglia: un tatami e una struttura a forma di casetta con un porta a delimitare il campo d’azione dei ballerini, che si muove si apre e si orienta a seconda delle esigenze. Le luci, firmate da Dani Fishof, sono calde – si modellano sui performer, esplodono quando l’azione si fa più concitata, divengono intime quando essa rallenta. Le musiche di Ran Bagno accompagnano e incalzano al tempo stesso i danzatori, ora con motivi minimalisti, ora con le percussioni a preponderare, suite progressive rock. I ballerini sono nove, cinque uomini (Yuval Lev, Eyal Vizner, Gil Kerer, Micah Amos, Tomer Navot) e quattro donne (Emmy Maya Wielunski, Sian Olles, Yael Rivka Cibulski, Marija Slavec) ed essi si compongono e scompongono, in movimenti caotici ma non per questo privi di coordinazione o coerenza. Solo uomini, solo donne, misti e in coppia – in cui a prevalere è la componente sensuale – e lo spettatore ne viene catturato, coinvolto, senza che ci siano mai cali di attenzione. Il risultato finale è vincente, e viene premiato con un lungo applauso al pubblico, a conferma del speciale rapporto che lega il collettivo con la città e il festival. Dopo Napoli, la Vertigo Dance Company volerà a New York per esibirsi per la prima volta al Lincoln Center e poi in Cina.