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“Finale di partita”, Luis Pasqual dirige Lello Arena per un Beckett immerso nella napoletanità

142949729-f40b94aa-01c9-4087-ae22-508398a99bd3di Stefano Santos

Una parete in lamiera dipinta di bianco, nel cui mezzo sono state ricavate due finestrelle e a destra una porta, a racchiudere il campo d’azione; due bidoni in primo piano a sinistra, infilati nel palco. Questo è il luogo in cui si svolge Finale di Partita, nella versione di Lluis Pasqual presentata nell’ambito del Napoli Teatro Festival al Teatro Nuovo dei Quartieri Spagnoli. L’opera, tra le più famose del grande drammaturgo Samuel Beckett (accanto al sempreverde Aspettando Godot), si inserisce a pieno titolo nell’ambito del Teatro dell’Assurdo, esploso nella seconda metà del Novecento e portatore delle nuove ‘non-istanze’ dell’uomo post-moderno, attorno a cui tutto è stato decostruito, superato, demistificato e per questo avverte l’assurdità di stare al mondo e si interroga sul significato dell’esistenza. Per comprendere meglio il significato del dramma, occorre rifarsi al titolo, ma non tanto nella sua traduzione in italiano – che tutt’al più potrebbe rimandare al mondo del calcio – o in francese (Fin de Partie), quanto nell’inglese di Endgame, che proviene dal gergo degli scacchi, gioco particolarmente amato da Beckett. Esso indica infatti la fase finale di una partita di scacchi, una situazione in cui i pezzi in campo si sono notevolemente diradati e a farla da padrone sono i Re superstiti e uno-due altri pezzi – molto spesso il pedone. Una fase in cui il gioco si fa meno concitato, divenendo uno studio accurato delle mosse da fare per portarsi in una posizione di vantaggio, nel caso di professionisti, un tira e molla nel caso di giocatori inesperti, che può portare a una situazione di stallo infinito, con i Re a viaggiare per tutta la scacchiera senza che i destini della partita possano cambiare.

E’ questo il contesto in cui si trovano a vivere Hamm (interpretato da Lello Arena) e il suo servo Clov (Stefano Miglio). Il primo, un anziano cieco, è incapace di alzarsi dalla sedia – presentata allo spettatore come un trono a rotelle; il secondo è incapace di sedersi. I due vivono un rapporto simbiotico, in cui Hamm non fa altro che dare continuamente a Clov mansioni da fare, e in cui quest’ultimo non può fare a meno di compierle, sebbene si riferisca sempre a lui come un vecchio scorbutico e ondivago nei suoi ordini. Questo contrasto è sempre fonte di litigi tra i due, che trascinano la propria esistenza in una casetta perduta in mezzo al mare, che Clov non riesce comunque a scorgere col cannocchiale. Esistenza in cui lo spazio e il tempo non sembrano avere valore, in cui non si sa – o non importa – se i mesi passino. In cui trovano posto anche gli anziani genitori del padrone di casa Nagg (Gigi De Luca) e Nell (Angela Pagano), accoccolati nei bidoni, senza gambe per un incidente accaduto nelle Ardenne. Durante il dramma, vengono seminati dei germogli di cambiamento apparente, Nell che ‘muore’ senza troppi clamori – salvo dei pianti silenziosi di Nagg, rifugiato nel bidone dove vive – Clov che sembra trovare finalmente la forza di fare le valigie ed andarsene da lì. Ma come nell’infinito muoversi dei Re sulla scacchiera, anche queste avvisaglie, non sembrano portare a nulla.

Il classico anglo-francese viene qui reinterpretato da Lluis Pasqual in modo da adattarsi e immergersi nella cultura napoletana. Come ama ricordare lo stesso regista, infatti Beckett affermò che il più gran peccato dell’uomo è quello di prendersi troppo sul serio. Così gli attori napoletani, e i napoletani in generale, hanno sempre mostrato sempre una certa affinità a affrontare le situazioni più assurde dell’esistenza con il gioco sempreverde dell’ironia e della leggerezza.

Una commistione – non eccessivamente appariscente, ma che si ravvede soprattutto nel modo di rendere il testo di Beckett fatto dal cast di attori – che ha comunque riscontrato un parere positivo nel pubblico.