Dopo il successo della Bisbetica Domata della scorsa edizione del Napoli Teatro Festival, Andrej Konchalovskij presta la sua arte per la rassegna napoletana con un doppio impegno che segna una full immersion nella madre patria, ‘piatto forte’ del focus sulla Russia. Infatti, si darà occasione al pubblico napoletano di vedere in azione attori russi che recitano in lingua russa i testi del più celebrato drammaturgo russo di ogni tempo, Anton Cechov, nello spazio ‘principe’ della rassegna, il Teatro Mercadante. Lo spettacolo sarà fruito dal pubblico italiano con la proiezione contemporanea dei sottotitoli, messi un po’ sconvenientemente sopra il palcoscenico – assieme a tutti i problemi propri della visione con i sottotitoli di un’opera.
I due testi in oggetto, Zio Vanja e le Tre Sorelle (che debuttarono rispettivamente nel 1899 e 1901 al Teatro dell’Arte di Mosca), si susseguono nel calendario della manifestazione – il primo che ha avuto la sua unica data ieri e il secondo che debutta oggi – e si caratterizzeranno per l’avere la stessa scenografia e lo stesso cast di attori, ad evidenziare le grandi similitudini delle due opere. La contestualizzazione spaziale di entrambe è omogenea, trattandosi della immensa provincia rurale russa, ed entrambe osservano il mondo dal punto di vista di una semi-borghesia – perché ancora legata al latifondo e alla rendita – agiata e oziosa e che si muove entro le mura di ville troppo grandi per il suo bisogno. Investita a pieno nella crisi da Fin de siécle, dunque una categoria sociale sulla via del tramonto, essa coglie le nuove istanze, del mondo che sta diventando sempre più cosmopolita e sempre meno provinciale, da migliaia di verste di distanza – vagheggiando di Parigi ma anche di Mosca e Pietroburgo – non riuscendo per questo a raggiungerle. Una rottura, una dissociazione tra desideri e la realtà che porta all’insoddisfazione e all’infelicità.
La rottura, nello Zio Vanja, si ha nella visita del professor – ormai in pensione – Aleksandr Serebrijakov (Vladas Bagdonas) e sua moglie Elena (Natalia Vdovina) nella tenuta di campagna gestita da Ivan Petrovic, detto Vanja (interpretato da un ottimo Pavel Derevyanko), fratello della prima moglie del professore morta prematuramente – ricordata dall’uomo come una donna tra le più pure che abbia mai conosciuto – assieme alla madre (Irina Kartasheva) e alla nipote, figlia di primo letto del professore, Sonja (Julja Vysotskaja). Assidui frequentatori della casa sono Teleghin (Aleksandr Bobrovskij), proprietario terriero soprannominato ‘cialda’ per la sua faccia butterata e il dottor Astrov (Aleksandr Domogarov), giunto perché trattasse la gotta di cui è affetto il professore.
In ognuno di questi personaggi si consuma, in un modo o nell’altro, una situazione interiore che li rende infelici e insoddisfatti con la loro vita. Vanja e il Dottor Astrov vengono entrambi attratti dalla bellezza della giovane moglie del professore, evento che li costringe a ripensare la propria vita. In particolare è in Vanja che si consuma il maggiore dissidio interiore, lui che ha passato gli ultimi venticinque anni su quaranta della sua vita a gestire con devozione e diligenza la tenuta del professore senza mai mancare di fargli giungere i pagamenti – nella giovane donna, che aveva già adocchiato una decina di anni fa, quando ella era ancora un’adolescente, vede una felicità coniugale che poteva durare, ma che invece ha perso. Un senso di trappola che si nota ancora di più nel notare che egli si rivolge alle donne chiamandole nel loro equivalente in francese (Maman, Sophie, Helene) come solevano fare i nobili dell’aristocrazia zarista in un tentativo di risultare più cosmopoliti. Il Dottore, invece, è immerso nella sua attività di medico di campagna, che lo costringe a spostarsi continuamente, accanto alla sua attività di cura della terra e delle foreste, che lo rende agli occhi delle donne un uomo moderno e colto. Si trattiene più di quanto sarebbe necessario nella tenuta Serebrijakov per cercare di sedurre Elena, la quale tuttavia non è indifferente.
La relazione coniugale tra il Professore e Elena trova un limite fondamentale nella grande differenza di età tra i due: il primo cronicamente affetto dai reumatismi e dai sintomi della gotta, che lo rendono difficile da trattare, e la seconda che per assecondarlo, sopprime la sua vitalità e la sua giovinezza (“uno spreco immorale di vitalità”, dichiara Vanja). La giovane donna ha anche un rapporto difficile con la figliastra quasi coetanea Sonja, stemperato dalla confessione che la ragazza si è sentita intimidita da lei, impedendole di fare amicizia.
Sonja è dedita con la stessa passione dello zio nella cura della tenuta, e pare nascondere meglio la sua inquietudine sulle sue condizioni di vita, intenta sempre in uno sforzo di auto-repressione, che la porta sempre a dire in ultima battuta, di essere felice. L’oggetto principale del desiderio della ragazza è il Dottor Astrov, di cui non fa altro che tesserne le lodi come uomo affascinante e colto, non nascondendo la sua attrazione che però quest’ultimo non sembra notare, preferendo tuttavia vivere nell’incertezza sulla reale natura dei sentimenti del dottore, crogiolandosi in lamenti e pianti sulla sua bruttezza, che porta tutti a lodarla dei suoi bei occhi, dei suoi bei capelli (sebbene porti sempre un fazzoletto in testa) della sua gentilezza e intelligenza – quindi sentimenti di stima, ma non di amore.
Il proposito del Professore di vendere la tenuta per ricaverne una rendita maggiore e usare i ricavi per comprare una dacia romperà ogni indugio di Vanja, il quale non esiterà a cacciare la pistola e tentare di ucciderlo, facendo due volte cilecca, al prezzo di far rimanere le cose come stanno: Elena e il Professore in città, il Dottor Astrov in giro a curare pazienti, lui e la paziente Sonja ad amministrare diligentemente gli affari della tenuta Serebrijakov. E un’altalena, di fianco, su cui resta una donna vestita di bianco, pura.