Quella porzione di strada sembrava fatta per essere il più anonima possibile. Una panchina di legno su pavimentazione in cemento liscio, un muro in mattoni rossi, stranamente pulito, a fare da sfondo. Ai lati trovavano posto due quadrati di terreno nudo, dove crescevano erbacce verdastre tra mozziconi di sigarette e cartacce, e due betulle bianche, magre e abbruttite dallo smog del traffico. Già completamente formato, un cartello dell’autobus era piantato in mezzo al quadrato verde di destra e la panchina. A sinistra invece c’era un cestino dei rifiuti, elegante, in ferro battuto. L’intero quadro sembrava avere le caratteristiche di una natura morta, ma non lo era. Prima di tutto perché ogni tanto c’erano passanti che attraversavano quest’angolo di strada, perché le automobili ogni tanto coprivano la vista, perché un piccione si era posato su un ramo della betulla di destra, e infine, perché qualcuno era seduto sulla panchina. Un uomo non particolarmente bello, ma neanche sgradevole alla vista; non grosso di corporatura o statura, né magro e esile; gli abiti non suggerivano professioni o interessi specifici, una maglia a maniche lunghe nera, accompagnata da un pantalone e da scarpe da ginnastica, anch’esse nere. L’unica cosa che lo caratterizzasse in qualche modo era l’età: non dimostrava più di venticinque anni. Questi era seduto perfettamente composto, con le mani giunte appoggiate sulle gambe. L’espressione era di indifferenza, come se si fosse seduto lì per rilassarsi, non per aspettare un autobus. Infatti ogni volta che passavano, lui li ignorava completamente. Spesso capitava che il bus si fermasse solo per accoglierlo, per premura dell’autista, che subito se ne pentiva e si irritava del tempo perso e ripartiva, senza nuovi passeggeri. Solo di chi frequentava i mezzi pubblici pareva interessarsi. Osservava con vivo interesse chi scendeva, meno però chi aspettava in sua compagnia. Una rapida occhiata ai lineamenti e ai vestiti, senza però quella morbosità del maniaco, era come se stesse cercando qualcuno. I soggetti interessati non si sentivano minacciati: ricambiavano lo sguardo e tiravano avanti per le loro strade. Lui li lasciava fare, però con una scintilla di delusione negli occhi, come di colui che non riesce a trovare quello che gli interessa. Lo scoramento, però, durava poco e l’afflato investigativo si rifaceva vivo, più forte.
C’era una linea che era famosa per avere un frequenza molto bassa, una corsa ogni ora, e che copriva una lunga tratta fino ai paesi più periferici della città, quindi era molto poco frequentata e usata solo da chi non si poteva permettere una macchina o per cause di forze maggiori. La fermata dove il ragazzo sedeva aveva la coincidenza di essere l’unica disponibile in tutto il centro storico. Quindi, almeno una volta al giorno, qualcuno sedeva in sua compagnia e aspettava il bus “Cavriago-Doti”. Il giorno in cui si è iniziato a narrare questa storia, vicino al ragazzo si era seduta una signora. Sui sessant’anni, bassa e pienotta, attorniata da buste, occupò ogni centimetro che lui le aveva concesso dopo essersi scostato per farla sedere. Dopo averlo ringraziato, tirò fuori dalla borsetta un fazzoletto ricamato a fiori e cominciò a asciugarsi la fronte sudata. Da un thermos, sempre tratto dalla borsetta, sorseggiò dell’acqua ghiacciata, che la rinfrescò definitivamente. I suoi bisogni contingenti furono completati da un sacchetto di carta da cui tirò fuori delle caramelle al limone che iniziò a succhiare avidamente, rimanendo soddisfatta per un paio di minuti. Passato quel tempo, si accorse del ragazzo e gli porse il sacchetto: “Ne vuoi uno?” gli chiese. Lui si girò, fissò per un secondo la signora, sorrise e prese una caramella. “Certo, grazie.” La scartò, appallottolò l’involucro e lo lanciò verso il cestino, facendo canestro. Si mise in bocca il bonbon e iniziò a succhiare come faceva la signora. “Molto buone, ancora grazie.”
“Ma figurati, figurati! Le ho comprate in un negozio di dolci adorabile proprio qui dietro all’angolo. Le ho viste e non ho resistito! Cercavo proprio qualcosa da gustare mentre aspettavo questo pullman barboso. Per caso, sai quando è passato l’ultima volta?”
“Uhm, vediamo…” guardò l’orologio “…quasi tre quarti d’ora fa. Dovrebbe passare tra un quarto d’ora, se è fortunata.”
“Oh, ma io non problemi di tempo! Sai: sono pensionata, vedova, con i figli già sistemati. Ho tutto il tempo che mi serve; mi sveglio ogni giorno alle cinque, puntuale, mi lavo, faccio un’abbondante colazione, leggo il giornale, curo le piante del mio giardino e mi dedico ai miei hobby. Oggi, per rompere la routine, ho deciso di scendere in centro, per fare un po’ di compere e dato che non ho la macchina… beh, è stata una giornata molto produttiva. Guarda qui” gli mostrò quello che aveva comprato “ho comprato questo vestito in un negozio per signore adorabile qui in centro. Farò un figurone alla messa della domenica! E qua… ah, sì. I croccantini di prima classe per il mio gattino Fiocco, che non si trovano in paese. Poi, un vaso in porcellana, che ho rimediato in antiquario, adorabile, qualche traversa più avanti. Si sposerà benissimo con i tulipani che ho comprato ieri. E infine, una scorta di cioccolatini, sempre dal quel negozio, che non fanno mai male… ma non parliamo solo di me! Tu che fai qui? Pure tu aspetti il Cavriago?”
“No, non credo che lo stia aspettando. Sto seduto qui, e indago in ogni viso sconosciuto che passa per i pullman. Ho già fatto irritare qualche autista che si è fermato credendo che io stessi aspettando un bus. Ma non è colpa mia, non so cosa cercare mentre scruto lo persone, un tratto particolare che le identifichi. In realtà non so neanche perché lo faccia. Mi ritrovo qui, a agitarmi e a strepitare per vedere un viso familiare e venire regolarmente deluso perché nessuno soddisfa i requisiti.” pensò per un momento “Ah, sì. Ora so che sto facendo qui. Sto aspettando una persona. Ma non ardisca di chiedermi di descriverla, perché non saprei farlo e mi inventerei delle bugie, e a me non piace dirle.”
La signora parve accontentarsi della spiegazione e prese un’altra caramella. Passarono diversi minuti, al termine dei quali il ragazzo consultò l’orologio e le disse “E’ quasi passato un quarto d’ora. L’autobus sta arrivando.”
Non aveva mentito: non appena finì di pronunciare la frase, il Cavriago-Doti apparve e si fermò davanti alla panchina e alla signora attonita. Raccolse tutte le buste che teneva con sé, e, incespicando leggermente, salì nel pullman. Dal finestrino, con un cenno gentile salutò il ragazzo, che ricambiò con piacere. Rimasto solo, finì di succhiare la caramella.
Era un tardo pomeriggio. La frequenza degli arrivi si rarefece mano mano che la notte sopravanzava.
Divenne nuovamente giorno, ma il nuovo passeggero del Cavriago-Doti arrivò solamente dopo l’ora di pranzo. Il suo arrivo fu alquanto rocambolesco, poiché coincise con la partenza del Cavriago delle tre. Quando il ragazzo sentì il suo urlo di rabbia, unito alla fatica per i cento metri appena corsi, il veicolo aveva appena lasciato la fermata della panchina senza passeggeri. La presenza del ragazzo aveva ritardato per poco la partenza, lasciandogli qualche speranza, che sfumò in un nulla. Strepitò come un bambino a cui è stato negato il giocattolo per qualche secondo. Poi, constatata l’inutilità della sua rabbia, trafelato e madido di sudore, si trasferì sulla panca, per riprendere fiato e aspettare il prossimo. Il giovane aprì la sua confezione di fazzoletti e ne diede uno al signore. In giacca e cravatta, dal viso asciutto, molto profumato, portava con sé una valigetta ventiquattrore. Accettò di buon grado l’offerta e si asciugò velocemente la fronte. Ripiegò la carta a quattro veli e la infilò nel taschino. Stettero in silenzio per alcuni minuti, al che il ragazzo, timidamente, chiese all’uomo “E così sta aspettando il Cavriago-Doti”; “Già.”; “E’ strano, ma un uomo vestito come lei -non mi fraintenda, si vede che ha un certo tono- deve pure premettersi di avere una macchina.”
“Lei dice?” disse l’altro lusingato per essere stato riconosciuto come ricco e benestante “In effetti, un fondo di verità c’è: mi posso permettere un’auto; e ce l’ho, infatti. Solo che per una coincidenza sfortunata che ha lasciato a terra le quattro macchine di casa, sono stato costretto, ahimè, a prendere il bus, sebbene mi avessero avvisato della straziante frequenza delle corse. Sa, sono un uomo impegnato, di un certo tono. Una caduta di stile! Ma alla fine pure un modo si doveva trovare. E così ho preso questo bus. Ma lei, cosa fa qui? Poteva benissimo prenderlo e non l’ha fatto.”
“Beh, questa conversazione assomiglia tanto a quella che ho fatto con una signora proprio ieri, santa donna. Come le avevo detto ieri, non sono neanche sicuro che debba fare precisamente, né come sia capitato qui, né da quanto tempo stia seduto qui, né perché abbia necessità di lavarmi.”
“A ben odorare, lei non ha il solito odore dei barboni, di sudore, di bocca poco lavata e troppo alcol, quello che negli angoli più bui delle stazioni è così… lei ha un odore fruttato, gradevole. Credevo fosse di passaggio, nulla di più.”
“Ma lo sono, di passaggio. Tra poco, prossimamente, a una data da destinarsi. Sto aspettando qualcuno. Sto seduto qui e guardo ogni viso che passa per qui, per vedere se è quella persona. Ho una facilitazione, che mi risparmia metà del lavoro. Se ha i capelli corti, o una barba o i baffi, sto sicuro che non è chi sto cercando. Sì, aspetto una ragazza. Ma non mi chieda di descriverla, non saprei dirle nulla.”
“Ah, beh, mi fido.” udì un ronzio; il telefonino gli stava vibrando in tasca. Si alzò “Mi scusi” e si allontanò con il cenno di assenso del ragazzo. Mentre parlava con il suo interlocutore, all’orizzonte, duecento metri più in là, si profilavano altri bus. Uno in particolare trasportava una comitiva di amiche, un altro un gruppo di studentesse. Quando il ragazzo iniziò a cercare tra di loro, l’uomo elegante aveva finito di parlare e si sedette proprio mentre esse stavano scendendo.
“Che dici, posso aiutarti a trovarla. Ti do del tu, se non ti dà fastidio.”; “Nessun problema” disse per entrambe le proposte. “Non perdere però tempo a osservare quelle che non scendono. Perdi solo tempo, così.”; “Ok, ma come faccio a… non importa”. Iniziarono tutti e due la loro ricerca. Si vedeva però che l’uomo elegante non era tanto bravo nell’essere discreto quanto il suo nuovo amico. C’era una sorta di insistenza indesiderata nel suo sguardo, che nelle intenzioni non voleva fare alcun male, ma che metteva a disagio le ragazze, inducendole letteralmente a scappare via alla vista di quello strano uomo, un maniaco sicuramente. Passò poco tempo senza che il ragazzo se ne accorgesse “Non vorrei offenderti, ma se continui così c’è il rischio che chiamino la polizia e ci facciano mettere dentro per molestie. Io mancherei all’appuntamento e tu tarderai a rincasare. Lascia che faccia da solo, anche perché non sai chi cercare.”
“Forse hai ragione” e smise di occhieggiare. Rimasero in un silenzio condiviso per molto tempo, tanto che l’uomo elegante, senza alcun riguardo della sua condizione di uomo di classe, reclinò la testa sulla spalle e si appisolò, facendo sgorgare dall’angolo della bocca un rivolo di bava che gli macchiò il colletto inamidato. Quando il ragazzo si rivolse a lui per riprendere il discorso, desistette, resosi conto della sua condizione. Sonnecchiò beatamente finché il ragazzo non gli predisse la venuta imminente dell’autobus, picchiettandogli delicatamente la spalla. Si svegliò di soprassalto e si proiettò in avanti. Si strofinò la faccia arrossata dalla parte appoggiata, si rese conto della sua situazione imbarazzante e pulì sommariamente con il fazzoletto che aveva usato prima. Si alzò di scatto, per assicurarsi che il bus si sarebbe fermato. “Grazie” disse al ragazzo sorridendo, mentre saliva gli scalini. L’altro rispose con un cenno amichevole, mentre il Cavriago-Doti si allontanava.
Non successe niente di nuovo, nel pomeriggio, nella sera e nella notte che seguirono. Il nuovo passeggero della Cavriago-Doti arrivò la notte del giorno dopo, con grande sorpresa del ragazzo, che non si aspettava di avere compagnia all’una di notte, ora dell’ultima corsa. Questi arrivò in tuta blu, facendo ondeggiare la borsa che portava in mano, fischiettando un motivo gioioso. Il viso era lindo e asciutto, nonostante la tuta fosse annerita di grasso e olio in più punti. Decisamente il contrario dell’uomo elegante, fu accolto non meno benevolmente del ragazzo. Non appena si sedette, gli venne un attacco di starnuti e il ragazzo, in segno di ospitalità, gli offrì un fazzoletto.
“Grazie, molto gentile.” disse sorridendo “Avrei fatto una figuraccia a stare qui come un bambino pieno di moccio, con una mano pietosamente sul naso per coprire il mio imbarazzo.”
“Infatti, è proprio una seccatura.” disse l’altro mentre riponeva la confezione in tasca.
“Pure tu qui, nel buio della notte? Io sono a piedi solo perché il mio collega se n’è dovuto andare, anzi, correre…e io conto su di lui per tornare, che abitiamo nello stesso paese. Quindi, se due più due fa quattro, io devo prendere il bus. Lavoro in un officina qui in centro, che si fanno più affari rispetto a dove vivo, in cooperativa con altri colleghi e l’interessato, che mi ha lasciato a piedi. MA so che non è colpa sua. La madre, povera donna, pare abbia avuto un malore. Si è dovuto letteralmente precipitare. Non ti preoccupare per me, ce la farò, gli dissi. Ecco perché mi trovo. Ho finito l’ultima riparazione proprio venti minuti fa. Non sono molto pratico dei mezzi pubblici, sai per caso se ho sbagliato e qui non c’è nessuna corsa? Se no sarei perduto, per davvero.”
“No, no, non ti preoccupare, sei fortunato, stai aspettando l’ultima corsa.”; “Meno male! E tu? Che fai qui, tutto da solo, la notte fonda? Aspetti anche tu il Cavriago-Doti?”
L’altro volle velocizzare il racconto “Più o meno. Aspetto qualcosa, ma non quello che si pensa di solito se mi si guarda qui seduto a una fermata dell’autobus. Non autobus, ma persone, una persona. Non uomo, donna. Non vecchia, giovane. Una ragazza. Come si chiama? Ah, non me lo chiedere proprio, Anna, Maria, Giovanna, Carlotta, Stefania, Luigia, Antonietta, Elisa, Margherita, Laura…potrebbe andare bene, sì. Per ora l’etimologia mi sfugge. A un primo momento mi vien da pensare alla Laura cantata da Petrarca. No, forse mentirei. In realtà ho pensato prima alla Laura di Nek e a Laura Pausini. Sai, per apparire più colto agli occhi di un ascoltatore sconosciuto. Non avrei avuto problemi a dirlo ad amici…penso che mi possa fidare di te. Vanne fiero” ridacchiò “ Ma ricapitoliamo. Aspetto una ragazza, di nome Laura. E’ stato uno sforzo immane dirlo a qualcuno. Ci ho messo due giorni e tre notti per esprimere questo concetto, seduto a questa panchina. Non sono un tipo loquace.” L’operaio -lo chiameremo così- rimase sospeso, sotto la mole di confidenze che il ragazzo gli aveva fatto. Rielaborò il tutto, pensò a una risposta e gli disse “Se l’hai attesa così tanto, allora perché non ti alzi, la cerchi o le vieni incontro, invece di stare qui al vento e al gelo?”
“E’ molto semplice in realtà. Non so dove sia né dove viva, quindi dove dovrei cercarla? Se mi alzassi e la cercassi, lei non mi troverebbe qui e se ne andrebbe irritata, e io perdei una cara persona, un’amicizia o un’amore, non so. Potrei incrociare il suo cammino, ma le strade sono infinite e la probabilità di non ritrovarsi è troppo alta, mi ritroverei a vagare per sempre. Quindi è meglio per me che l’aspetti alla panchina, qui. Credo che le sappia che io l’aspetto, alla fine.”
Il ragionamento per l’operaio non faceva una piega. L’accettò senza fare altre domande. Nel frattempo era arrivato il bus. Salutò il ragazzo con una stretta di mano e salì sull’ultimo Cavriago-Doti di quella giornata.
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