di Stefano Santos
Il terzo e ultimo adattamento di “Zio Vanja”, diretto dal regista lituano Rimas Tuminas e prodotto dal Evgenij Vachtangov State Academic Theatre, andato in scena al Mercadante, chiude il focus su Cechov del Napoli Teatro Festival, nel penultimo giorno della rassegna. Considerato uno degli appuntamenti teatrali russi e europei più attesi dell’anno, esso arriva a Napoli a esito di un tour che ha toccato diverse città europee – in lingua russa fruibile dal pubblico italiano attraverso i sottotitoli.
Questa terza versione del Vanja affronta il testo cechoviano in una maniera differente e originale rispetto a quelle proposte da Konchalovskij e Savignone (presente tra il pubblico). Tuminas si preoccupa principalmente di ritrarre i sentimenti e le passioni dei personaggi, rifiutando il realismo della rappresentazione. La contestualizzazione scenica è infatti inesistente: non ci troviamo più in una tenuta elegante di campagna bucolica, o almeno si fa fatica a riconoscerla, tra il tavolaccio in legno con attrezzi a destra, il divano in pelle a sinistra, o quella statua leonina posta in fondo al palco, il tutto sovrastato da una struttura che ricorda un arco romano, pur non presentando un arco nella struttura. I personaggi talvolta sembrano essere usciti da un dramma di Beckett e del Teatro dell’Assurdo, inchiodati in mezzo al palco, o impegnati in strani movimenti, come quando il dottor Astrov(Vladimir Vdovincenkov) porta con nonchalance la Balia (Inna Alabina), qui vestita come farebbe delle socialite della Belle Epoque, completa con sedia, per dire che ella è l’unica donna che ama in casa Serebrijakov. Movimenti bizzarri che presentano anche una vena circense, a partire da Elena (Anna Dubrovskaja) che introduce in scena un cerchio tipico della ginnastica artistica, con cui Vanja e Astrov giocano a scambiarselo, da Telegin (Jurij Kraskov), che qui assomiglia a un clown con la bombetta, assieme al servo Efim (Sergej Epishev), trasformato in una muta figura comica vaudevilliana, per arrivare a Sonja (Evgenija Kregzde), che a un certo punto si arrampica sulla struttura del palco, come un’acrobata.
La concentrazione sulle passioni e sentimenti non può che portare a una loro esaltazione, rendendoli maggiormente evidenti. Anche il Professor Serebrijakov non è più il vecchio debole e acciaccato del Konchalovskij o il manichino senza vita del Savignone, poiché Vladimir Simonov che lo interpreta è una figura imponente e dritta come una lancia, contrapposta al Vanja di Sergej Makoveckji, attore minuto e sensibilmente più anziano di Pavel Derevyanko e Marcelo Savignone, che qui rimane nella parte buffonesca dello spettro del teatro, che giocherella con il Professore prima dell’epilogo, che vede l’ultimo accorato e disperato tentativo di autoconvincimento di Sonja, in piedi affianco suo Zio, ormai sconfitti al pensiero di rimanere per sempre ad amministrare la tenuta, che sfocia nell’oppio profetizzato da Marx. Un “Ci credo!” ripetuto a pieni polmoni e che si esaurisce in un nulla, in un Vanja che si allontana mesto e Sonja che si accascia sulla scrivania.